CHE FINE HA FATTO TUVALU?
A Copenhagen è andata male, a Copenhagen è andata bene, a Copenhagen è andata così così.
Mentre la comunità scientifica, il mondo della politica, delle lobby e delle organizzazioni non governative portano avanti il dibattito sul futuro del pianeta, emerge un dato di fatto: l’opinione pubblica dei cambiamenti climatici si è già dimenticata.
Si è dimenticata dell’orso polare, dei giorni in cui seguiva con curiosità e attesa le trattative del Summit mondiale e di quando si è indignata di fronte a quello che da molti è stato definito “il fallimento dei capi di stato”.
Perché?
I motivi sono diversi e meriterebbero un’analisi approfondita delle dinamiche sociali ma di certo una delle cause va ricondotta al fatto che da quel 19 dicembre, data di chiusura della COP 15, sono nate e morte migliaia di nuove notizie a cui appassionarsi.
L’opinione pubblica si è lasciata travolgere ancora una volta dal torrente in piena del mondo dell’informazione e passo dopo passo, partendo da Sodarno è arrivata ad Haiti, ben distante da quelle isole Tuvalu che per tanti giorni sono state motivo di commozione.
Non si tratta più quindi di discutere solo di cosa siano i cambiamenti climatici, dove si manifestino, come colpiscano il pianeta e quale sarà la loro evoluzione. Si tratta di strutturare una riflessione che predisponga azioni competenti per informare in modo più adeguato la società, renderla più consapevole dei processi di mutamento in corso e metterla nella condizione di prendere una posizione che si possa tradurre in richieste di azione per il mondo della politica, dal locale al nazionale.
A evidenziare questo bisogno è anche l’ultimo aggiornamento all’Eurobarometro.
Mentre la statistica relativa ai 27 paesi della UE ci dice che i maggiori problemi a livello mondiale sono la povertà, al primo posto e i cambiamenti climatici, al secondo. I dati relativi al nostro bel Paese ci spiegano che gli italiani sono in linea con il resto dell’Europa solo per quanto concerne la povertà. Infatti al secondo posto viene messa la paura che scoppi una nuova pandemia, al terzo il terrorismo, al quarto la crisi economica e solo al quinto i cambiamenti climatici.
Tuttavia i numeri ci dicono anche che i cambiamenti climatici sono considerati un problema molto serio dal 63% del campione, in linea per altro con la UE a 27, ma è diffuso il punto di vista di chi crede che non sia stato fatto abbastanza per combatterli né dalle industrie (72%), né dagli stessi cittadini (68%), né dai Governi (67%), né dagli enti locali (64%), né dall’Unione Europea (58%).
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Senza scomodare Freud e la psicologia, possiamo dire che normalmente noi dimentichiamo le cose che non riteniamo importanti oppure accantoniamo quelle che risultano scomode. Per i cambiamenti climatici possiamo considerare entrambe le ipotesi: non interessano e vengono accantonati tra i pensieri difficili da gestire.
Ed infatti le statistiche di Observa, centro di ricerca indipendente che promuove la riflessione e il dibattito sui rapporti tra scienza e società, ci dicono che “Rispetto al 2007, i cittadini convinti che il clima stia effettivamente cambiando sono diminuiti dal 90% al 71,7%” ed è passata dal 4,1 al 9,2 la percentuale di coloro che non sanno.
Quindi?
Quindi va adottato un approccio olistico che miri ad un vero e proprio cambiamento culturale che interrompa la banalizzazione secondo la quale è colpa solo dei giornalisti che sono imprecisi o solo della comunità scientifica che parla un linguaggio troppo difficile.
Uno step dovrebbe riguardare senza dubbio il mondo dei media. Come il medico rispetta il giuramento di Ippocrate, come si esige il massimo del rigore dagli scienziati, va evitato che gli organi di stampa possano svilire il lavoro di anni di ricerca con articoli non corretti sbattuti in prima pagina.
Va vista quindi in modo positivo la Proposta di legge che mira a riformare il mondo del giornalismo e che ha ripreso l’iter di discussione in Commissione Cultura alla Camera dei Deputati a fine gennaio.
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Altro passo dovrebbe essere fatto dall’opinione pubblica abituata ormai a seguire le notizie dei tg e dei giornali come una telenovela. Andrebbe invece dato all’informazione un nuovo valore, completamente diverso, non come qualcosa da consumare ma piuttosto da utilizzare, una risorsa vera propria, una fonte di conoscenza, come viene detto ad esempio in questo documento dell’European Environment Agency (ad es. a pag.32).
Non ultimo in termine di importanza è il cambiamento che dovrebbe compiere il mondo della ricerca per essere più incisivo nella divulgazione e per conquistare quindi la fiducia della società e coinvolgerla. Consapevole dei limiti del mercato dei media, dove gli stessi giornalisti sono costretti ad adeguarsi alle regole di un sistema che richiede notizie sempre fresche, che non permette una specializzazione e che obbliga a lavorare ad un ritmo molto veloce, dovrebbe darsi un ruolo nuovo di vero agevolatore così da permettere una migliore diffusione e dunque una migliore comprensione.
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Testo di Elisabetta Mutto Accordi
23 responses so far
All'”approccio olistico” delineato dall’autrice mi sentirei di aggiungere almeno un elemento:
una revisione dei programmi scolastici, a tutti i livelli, tesa a evidenziare le connessioni tra i vari argomenti, equilibrando i rapporti tra discipline scientifiche e umanistiche.
Credo che una delle cause della crisi ecologica sia l’incapacità (culturale) di pensare in termini sistemici. È vero, non siamo evolutivamente predisposti a farlo, e se lo avessimo fatto probabilmente non ci saremmo evoluti, ma siamo capaci di imparare. E questo, per fortuna, vale anche in un paese in cui il presidente di una delle più prestigiose istituzioni scientifiche sostiene che Adamo ed Eva sono personaggi storicamente esistiti.
“Andrebbe invece dato all’informazione un nuovo valore, completamente diverso, non come qualcosa da consumare ma piuttosto da utilizzare, una risorsa vera propria, una fonte di conoscenza”. Interessante, ma se riferito all’informazione di massa significa invertire la direzione in cui si è mossa negli ultimi decenni. Se ne può parlare, soprattutto visto che il giornalismo scientifico è in tutto il mondo in cerca di nuova identità, come più volte sottolineato anche all’ultima conferenza mondiale dei giornalisti scientifici a Londra, ma sarebbero opportune proposte concrete. Personalmente non vedo sul tavolo ipotesi volte alla realizzazione dell’auspicio espresso nell’articolo
un saluto e complimenti, Elisabetta.
Concordo con quanto dici e soprattutto nel non prendere come una telenovela i TG e i grandi quotidiani. In questi giorni, col freddo, e la neve, ahivoglia spiegare e ribadire che climate is what you expect, weather what you get”. Il concetto è anzi ribaldato, la sensazione popolare è che climate is what you get weather what (they) expect. Fa notizia il freddo, vedi la Mongolia, non il fatto che in Canada ci sia l’inverno più mite dal 1932 e che manca la neve per le olimpiadi.
Vogliamo toglierci la preoccupazione del clima che cambia, da fastidio che sia colpa nostra, da fastidio ai petrolieri ma anche ai meteofili che vivono e sperano solo nel gelo e nella neve.
tuttavia, la preoccupazione credo ci sia ancora: mesi fa notavo un calo di interesse e attenzione, ora sembra ci sia un risveglio, l’altra sera a Modena erano in tanti a seguirci, nonostante non avessimo fatto molta pubblicità. Altrettanto insieme e Treviso, qualche sera fa a casalgrande e ancora ad una cena informativa su Copenhagen.
dunque, continuiamo ad andare avanti, il cambiamento se ci sarà verrà dal basso, dalla società civile. E poi nel mondo qualcosa si muove, vedi elezioni in Costa Rica dove il vicepresidente sarà Alfio piva, scienziato e ambientalista, Direttore dell’Istituto della Biodiversità.
buona serata.
Luca
@Elisabetta
“gli italiani sono in linea con il resto dell’Europa solo per quanto concerne la povertà”
Andiamo bene! I media ne parlano ogni giorno, se vuoi posso girarti la rassegna stampa di Action Aid. Risultato: altri tagli agli aiuti umanitari. E’ la propria povertà a preoccupare, penso, quella altrui meno. Con la disoccupazione in aumento, il contrario sarebbe sorprendente.
@Barbara
(Ciao!). “L’informazione come risorsa e fonte di conoscenza”
La usiamo tutti così, mi sembra, volta per volta prendiamo quella che ci serve e sempre di più in rete. A Londra erano quasi tutti freelance, ma il contenuto di tivù e giornali non dipende da noi. E i media li fanno anche chi scrive qui per spiegare ricerche e dati, e altrove per promuovere brocchi e bufale.
@Luca
” il cambiamento verrà dalla società civile”.
Viene, al presente. Le Ong transnazionali – e trans-statali come in India – sono 2,5 milioni, i volontari più di 200 milioni, part time, maldestri, con obiettivi contrastanti a volte, ma imparano velocemente.
Più che la coscienza dei problemi climatici, il dato che mi preoccupa è che meno di un quarto degli europei ritiene che il problema maggiore del pianeta è la sua sovrappopolazione, e che in Italia questa percentuale è addirittura la metà (nel paese che ha il più basso tasso di natalità del mondo, tra l’altro…). Mi domando quanto dovremo attendere per poter finalmente dire esplicitamente che IL problema è quello, e che il cambiamento climatico antropogenico e la povertà, e la mancanza d’acqua e di cibo, e molte altre questioni derivano da quello.
Il doppio degli intervistati ritengono che il cambiamento climatico sia un problema più urgente della sovrappopolazione, non rendendosi conto che non esiste soluzione al primo problema senza affrontare il secondo.
…giusto per segnalarvi questo “geniale” articolo che sta circolando in rete, non so se è all’altezza (giudicando il sito internet originale gestito dall’autore dell’articolo) dei protagonisti di “a qualcuno piace caldo”, ma fa abbastanza sorridere:
http://www.disinformazione.it/riscaldamento_globale2.htm
@Emanuele
se dà un’occhiata all’ultimo rapporto ONU – http://www.unfpa.org/swp/ – vedrà che dal ’75 il tasso di fertilità mondiale s’è dimezzato arrivando a 2,3, poco sopra la soglia di sostituzione (2,1). Stanno già nascendo quelli che faranno meno di 2 figli a coppia.
Il problema non è la sovrappopolazione in sé, è il rifiuto di riconoscere i diritti umani – educazione, sanità, libertà ecc. – alle donne, così facciamo ogni anno 80 milioni di figli che non vogliamo.
@Roberto
Quasi tutte le bufale sul clima in una volta sola. Anche il resto del sito è “geniale”, un tripudio di creazionisti, anti-vaccini, pro nuova medicina germanica, tutti a contraddirsi a vicenda.
@ Diego
Concordo, la scuola potrebbe avere un ruolo importante in questo processo. Ma approfitto per sottolineare che credo sia fondamentale smettere di dire, come si è sempre fatto, che il futuro sono i giovani. E’ sugli adulti di oggi che bisogna puntare, perché è troppo facile continuare a fare lo scaricabarile. Ciascuno di noi si deve assumere le proprio responsabilità per il mondo che lascerà.
@ Barbara Gavallotti
E’ vero sul tavolo non ci sono ancora proposte concrete ed è per questo che la riforma del giornalismo va vista come un’opportunità. Ma il mondo dei media è un mercato e quindi a cambiare può essere anche la domanda, non solo l’offerta. E’ l’opinione pubblica quindi che deve esigere un prodotto diverso dall’informazione.
@ Luca
Ciao Luca. Il lavoro che tu fai quotidianamente è importantissimo, direi fondamentale. Concordo nel pensare che il cambiamento debba venire anche dal basso ed è per questo che credo sia cruciale trovare il modo più adeguato per raggiungere e coinvolgere anche tutta quella fetta di opinione pubblica che normalmente non partecipa alle conferenze, ai dibattiti o ai seminari.
@ Oca sapiens
L’argomento disoccupazione è molto complesso e non mi permetto di toccarlo. Penso però ci sia una parte di opinione pubblica, non coinvolta in modo così drammatico dalla crisi, semplicemente disinteressata. Nell’ultima conferenza internazionale sulla comunicazione sociale di Pubblicità Progresso mi ha colpito molto l’intervento di Ariane Arpa di Oxfam che ha sottolineato come “sia sempre più difficile suscitare l’indignazione della gente”.
A questo proposito mi viene in mente il bellissimo editoriale di Massimo Gramellini del 15 gennaio sul terremoto di Haiti dal titolo “Scossa di coscienza”
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=41&ID_articolo=744&ID_sezione=56&sezione=
@ Emanuele
Concordo, il legame tra le cause (così come tra le ricadute) dei cambiamenti climatici viene tenuto troppo sotto traccia.
@ Roberto
Direi che questo è un ottimo esempio per dimostrare che non si possono prendere per buone le prime cose che si leggono. La fonte da cui l’informazione viene trasmessa, soprattutto in internet, ma non solo, va verificata.
Qui c’è un problema di fondo:
i Cambiamenti Climatici tendono ad essere dimenticati perchè ormai c’è scetticismo sulla possibilità di attuazione di un piano d’intervento efficace visti i numerosi fallimenti in proposito e l’inefficacia probabile dei piani stessi, troppo blandi per risolvere un problema così grande…i problemi economici mondiali sembrano essere prevalenti su ogni altra cosa…
Concordo sul fatto che “il mondo della ricerca per essere più incisivo nella divulgazione”, anche per questo è stato creato questo blog.
Il punto è come farlo. Perché la divulgazione, la comunicazione con i media e con il pubblico ha un suo linguaggio, delle sue regole, piuttosto diverse da quelle del dibattito scientifico.
Ho visto con piacere l’altro giorno che fra i corsi che devono seguire i dottorandi di ricerca del Politecnico, ce n’è uno anche sulla la presentazione dei risultati e la comunicazione. Questo non c’era quando ho fatto io il dottorato, e sono cose che si imparano con molta fatica sul campo, anche dagli errori che si fanno.
Ho appena letto un libro, “Don’t be such a scientist” (http://www.dontbesuchascientist.com/), molto interessante, ti fa capire quanto c’è da imparare e quanti errori si fanno. Prima o poi ci farò una recensione.
Il problema oggi è, davanti allo spaventoso ritardo italiano sul tema climatico, e alle recenti efficaci campagne di disinformazione, quanto avere fiducia che con calma e serietà si riuscirà a far capire come stanno le cose, ossia la rilevanza di questa questione del clima che cambia. O se invece è necessario cambiare il modo di porsi, con più forza, chiarezza, decisione e meno gentilezza e mitezza.
Su questo c’è stata una discussione nella mailing list del Comitato Scientifico di Climalteranti. Io vedo tanti pro e contro ad entrambe le posizioni, ma ad essere sincero non ho una posizione ben definita, per ora.
@Stefano Caserini
Cosa intende con “meno gentilezza e mitezza”? Io non credo che si possa negare gentilezza e mitezza ad un interlocutore che si pone egli stesso in modo mite e gentile. Per quanto nobile possa essere l’obiettivo.
“O se invece è necessario cambiare il modo di porsi, con più forza, chiarezza, decisione e meno gentilezza e mitezza”…
Spesso mi chiedo anche io quale sia il modo migliore per farsi capire. Tra chi legge questo blog non c’è per caso qualche esperto di comunicazione, qualche pubblicitario, o psicologo che ci possa aiutare?
Non credo che Caserini intendesse dire che bisogna essere brutali e sgarbati con gli scettici. Ma che occorra decisione e risolutezza nel rispondere alle affermazioni scientificamente false, e palesemente infondate, beh, questo sì! Bisogna parlare chiaro.
Penso ad esempio ad un recente articolo di qualche giorno fa di Pierluigi Battista apparso (ahinoi) nelle pagine del Corriere delle Sera: di fronte ad un simile profluvio di falsità e di accuse gratuite credo che la categoria diffamata (in questo caso gli scienziati del clima) avrebbe tutti gli elementi per una querela e per vincerla.
@ Agrimensore
Io non credo che si possa negare gentilezza e mitezza ad un interlocutore che si pone egli stesso in modo mite e gentile.
Concordo, in pieno.
@Homereticus.
Certo, non mi riferivo agli scettici; anche perchè io mi ritengo uno scettico, e spero lo sia anche Lei.
@ caserini
non si preoccupi: scetticissimo, oltre che molto eretico. Le dirò di più: se non la smette con questo freddo divento pure negazionista, e magari mi ribattezzo 🙂
@ homoereticus
Su, non faccia così, è solo l’inverno.
Pensi anche ai canadesi…
http://www.dailymail.co.uk/news/worldnews/article-1248425/Vancouver-Olympic-chiefs-truck-snow-combat-citys-warmest-winter-record.html
Segnalo su questo tema anche uno degli ultimi post di Ugo Bardi
http://ugobardi.blogspot.com/2010/02/quelli-dellipcc-sono-una-bella-banda-di.html
Io segnalo invece l’ultimo post di Antonello Pasini:
http://antonellopasini.nova100.ilsole24ore.com/2010/02/a-roma-nevica-in-italia-fa-freddo-ma.html
@Elisabetta M.A.
“Ariane Arpa”
Credo che l’indignazione sia una misura sbagliata – ma il discorso sarebbe lungo…
@homoereticus
“esperto di comunicazione, qualche pubblicitario, o psicologo”
Non ci sono già abbastanza spin doctors?
@agrimensore
“gentile e mite”
in che senso lo è dire in sostanza ai redattori di Climalteranti che sono stupidi quanto i vari ricercatori di cui spiegano i dati?
@Stefano C.
Difficile uscirne. Si rimprovera agli scienziati di chiudersi nella torre d’avorio e appena ne escono di far(si) propaganda; di usare un gergo incomprensibile e appena provano a spiegare di usare espressioni fuorvianti ecc. Damned if they do, damned if they don’t. Per non parlare degli interessi politici ed economici che distorcono qualunque messaggio, o della disinformazione di un Pierluigi Battista.
Ugo Bardi: è la comunicazione a trascurare gli scienziati, non il contrario. He gets it upside down IMHO.
@oca sapiens
? Chi ha detto, implicitamente o esplicitamente, che i redattori di Climalteranti sono stupidi? Chi lo ha detto dei ricercatori? A cosa si riferisce? Personalmente, da scettico, ho specificato proprio su questo blog, che credo che siano gente molto in gamba e in buona fede, a scanso di equivoci, oltre ad aver ringraziato le persone che la pensano diversamente da me, non appena c’è n’è stata occasione. E’ chiaro poi che le proprie idee si sostengono con forza. Non per questo si dà un giudizio sulla persone che la pensano diversamente, men che meno se sono così preparate. Anzi… L’importante è discutere sulle idee, non sulle persone.
@ Oca Sapiens
Non è sufficiente che il mondo della ricerca esca semplicemente dalla Torre d’avorio, perché se non lo fa in modo appropriato, allora tanto vale. Per questo esiste la comunicazione che non può essere però improvvisata e dovrebbe essere invece ideata, sviluppata e gestita da professionisti.
Come fa la comunicazione a trascurare gli scienziati, se sono gli stessi scienziati che dovrebbero essere i promotori e/o i committenti di progetti di comunicazione mirati a valorizzare le proprie attività di ricerca?
E’ semmai il mondo dei media a trascurare quello della ricerca. Ed il motivo è che il mondo dell’informazione cerca fonti e referenti che sappiano adottare tempi, contenuti e linguaggi adeguati a quelli della stampa e della TV.
Il fai da tè non paga soprattutto se ci sono in gioco interessi economici e disinformazione. E’ per questo che servono progetti di comunicazione strutturati di lungo periodo.
A proposito di informazione e di distorsione delle informazioni, ecco qui un caso un po piu grave (se ne parla pure su real climate) di quello da me postato in precedenza :
qui l’intervista a Jones della BBC:
http://news.bbc.co.uk/2/hi/science/nature/8511670.stm
e qui com’è stata riportata dal daily mail:
http://www.dailymail.co.uk/news/article-1250872/Climategate-U-turn-Astonishment-scientist-centre-global-warming-email-row-admits-data-organised.html
che dire……
Se avessero usato quel tono in domande a Lindzen o Singer, si sarebbe gridato all’inquisizione…
(e magari sarebbe venuto fuori qualcosa di più)
Rimane il fatto, a mio avviso, che a Copenhagen si doveva palare di più dei contorni scientifici della problematica. Ad esempio, il prof Visconti sul Corriere ha ribadito l’altro giorno che da una decina d’anni il riscaldamento globale si è fermato, ma – ha lamentato – di questo non si parla. Peccato: di questi aspetti si dovrebbe parlare molto di più, anche nelle riunioni dell’Unu. Altrimenti basta poco: metti insieme questa notizia che prima o dopo trapale, aggiungi il ricordo dei misfatti delle mail… bè la connessione psicologica è immediata, no? E hai voglia poi a spiegare i tecnicismi alla gente.
http://giovannistraffelini.wordpress.com/2010/02/22/il-riscaldamento-globale-si-e-fermato/
http://him.uk.msn.com/in-the-know/photos.aspx?cp-documentid=152130685&page=5
Su Msn nel Regno Unito si accosta il global warming agli alieni.
“Le 10 teorie del complotto che potrebbero essere vere”
Chi decide cosa e perchè scrivere su un sito del genere?
Che messaggio passa a chi non cerca informazione ma intrattenimento ed “inciampa” in un argomento tanto sfizioso quanto comodo?