Perché sbagliano gli scettici del riscaldamento globale
Pubblichiamo l’articolo di William D. Nordhaus, uscito sulla New York Review of Books e tradotto da Massimiliano Rupalti per Effetto Cassandra. Una sintesi chiara e incisiva su come confutare le tesi più ricorrenti degli “scettici”.
In un prossimo post sarà pubblicata la risposta degli “scettici” e l’ulteriore replica di Nordhaus.
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Iceberg nella laguna di Jökulsárlón in Islanda, laguna che si sta costantemente allargando mentre il ghiacciaio Vatnajökull – il più grande d’Europa – si scioglie. Fotografia di Olaf Otto Becker.
La minaccia del cambiamento climatico è un problema sempre più importante per il pianeta. Poiché le sue implicazioni economiche avevano ricevuto poca attenzione, avevo scritto un libro non tecnico su come si poteva usare le regole del mercato per formulare interventi. Quando ho mostrato una prima bozza ai colleghi, hanno risposto che avevo lasciato fuori gli argomenti degli scettici sul cambiamento climatico e di conseguenza me ne sono occupato a lungo.
Una difficoltà che ho riscontrato esaminando le obiezioni degli scettici climatici è che sono sparpagliate in blog, conferenze e pamphlet. Poi sul Wall Street Journal del 27 gennaio 2012, ho visto un articolo di sedici scienziati, intitolato “Non c’è alcun bisogno di allarmarsi per il riscaldamento globale”. È utile: riassume in modo succinto molte delle solite critiche. Il messaggio di base è che il globo non si sta scaldando, che le voci dissidenti vengono soppresse e che rinviare di cinquant’anni le misure per rallentare il cambiamento climatico non avrà conseguenze serie sull’economia e sull’ambiente.
La mia risposta intende innanzitutto correggere la loro descrizione fuorviante della mia ricerca, e più in generale il loro tentativo di discreditare gli scienziati e la ricerca scientifica [1]. Ho identificato sei problemi chiave che vengono sollevati nell’articolo di cui commento poi la sostanza e la precisione. Essi sono:
• Il pianeta si sta davvero scaldando?
• Le attività umane contribuiscono al riscaldamento?
• l’anidride carbonica è un inquinante?
• Risulta che gli scienziati scettici vivono in un regime di paura?
• Il punto di vista degli altri scienziati è guidato dal desiderio di guadagno economico?
• È vero che un aumento dell’anidride carbonica e del riscaldamento sarà benefico?
Come dirò poi, a ogni domanda i sedici scienziati forniscono risposte scorrette o fuorvianti. Proprio quando vanno chiarite le confusioni presenti nell’opinione pubblica in merito alla scienza e all’economia del cambiamento climatico, hanno intorbidito le acque. Descriverò i loro errori e spiegherò le scoperte dell’attuale scienza ed economia del clima.
1.
La prima affermazione è che il pianeta non si sta riscaldando. Più precisamente:
Forse il fatto più scomodo è l‘assenza di riscaldamento globale da ben più di 10 anni.
Qui è facile perdersi in minuzie. Conviene far un passo indietro e guardare le registrazioni delle temperature osservate. La figura sotto mostra i dati della temperatura media globale dal 1880 al 2011, calcolata da tre fonti differenti [2]. Non serve una complicata analisi statistica per vedere che le temperature stanno salendo e che sono più alte nell’ultimo decennio di quanto non fossero nei tre precedenti [3].
Uno dei motivi per cui è difficile trarre conclusioni sulle tendenze della temperatura è che la serie storica è molto volatile, come si può vedere nella figura. La presenza di volatilità a breve termine richiede di prendere in considerazione le tendenze a lungo termine. Un’analogia utile è quella della borsa. Mettiamo che secondo un analista il prezzo reale delle azioni è calato nell’ultimo decennio (il che è vero) e ne consegue che non c’è alcuna tendenza alla crescita. Anche in questo caso, un esame dei dati di lungo termine mostrerebbe presto che non è così. L’ultimo decennio delle temperature e del mercato azionario non è rappresentativo delle tendenze di lungo termine.
La scoperta che da oltre un secolo la temperatura globale sta aumentando è una delle più solide della scienza del clima e della statistica.
2.
Un secondo argomento è che il riscaldamento è inferiore da quanto previsto dai modelli:
La mancanza di riscaldamento per più di un decennio – in effetti, il riscaldamento più piccolo del previsto da quando l’IPCC ha iniziato a pubblicare le proiezioni 22 anni fa – indica che i modelli computerizzati hanno molto esagerato il riscaldamento che la CO2 può provocare.
Quanto sono valide le prestazioni dei modelli climatici? Prevedono le tendenze storiche accuratamente? Sono domande ai quali gli statistici sono abituati. La procedura usuale consiste nel fare un esperimento in cui (caso 1) si inseriscono i cambiamenti nella concentrazione di CO2 ed altre influenze climatiche in un modello climatico, si valuta l’andamento delle temperature risultanti, poi (caso 2) si calcola cosa accadrebbe nella situazione controfattuale in cui tutti i cambiamenti sono di origine naturale, per esempio il Sole o i vulcani, senza alcun cambiamento di origine umana. Poi si confrontano gli aumenti della temperatura previsti dai due modelli (caso 1) e (caso 2).
L’esperimento è stato fatto spesso. Un buon esempio è l’analisi nella fatta dal IV Rapporto di valutazione dell’IPCC (figura nel materiale supplementare online [4]). Diversi gruppi hanno usato i casi 1 e 2 – uno con i cambiamenti indotti dall’attività umana e uno con i soli fattori naturali. L’esperimento ha mostrato che le proiezioni dei modelli climatici coincidono con le temperature registrate durante gli ultimi decenni solo se sono inclusi i fattori di origine umana. La divergenza nella tendenza è particolarmente pronunciata dopo il 1980. Da lì inpoi, i calcoli che tengono conto delle sole origini naturali non prevedono il reale aumento della temperatura di 0,7° C, mentre gli altri si allineano bene sulla tendenza reale.
Nella rassegna dei risultati, il rapporto dell’IPCC concludeva: “nessun modello climatico che usa le sole forzanti (cioè fattori di riscaldamento) naturali ha riprodotto la tendenza al riscaldamento globale osservato nella seconda metà del ventesimo secolo”. [5]
3.
I sedici scienziati contestano poi che la CO2 sia un inquinante. Scrivono: “il fatto è che la CO2 non è un inquinante”. Con questo, probabilmente intendono dire che di per sé la CO2 non è tossica per gli umani o altri organismi nelle concentrazioni che è probabile incontrare, e infatti concentrazioni più alte di CO2 possono essere benefiche. Tuttavia, questo non è il significato legale di inquinante negli Stati Uniti o in economia. La legge americana “Clean Air Act” definisce un inquinante dell’aria come “ogni agente che inquina l’aria o combinazione di tali agenti, compresa ogni sostanza o materia fisica, chimica, biologica, radioattiva… che venga emessa nell’aria o che vi entri in qualche altro modo”. In una decisione del 2007, la Corte Suprema ha legiferato chiaramente su questo tema: “Anidride carbonica, metano, ossido di azoto e idrofluorocarburi sono senza dubbio sostanze…chimiche che [vengono] emesse nell’aria… I gas serra rientrano appropriatamente nell’a ampia definizione di ‘inquinante dell’aria’ data dal Clean Air Act”. [6] In economia, un inquinante è una forma negativa di esternalità: cioè un sottoprodotto dell’attività economica che causa danni ad astanti innocenti. Il problema, ampiamente studiato, è di sapere se le emissioni di CO2 ed altri gas serra causeranno danni netti, ora e in futuro. La rassegna più approfondita a cura di Richard Tol, studioso leader nel settore, identifica una vasta gamma di danni, in particolare se il riscaldamento supera i 2° C. [7] Le preoccupazioni maggiori riguardano l’innalzamento del livello dei mari, uragani più intensi, perdita di specie ed ecosistemi, acidificazione degli oceani,e rischi per il patrimonio naturale e culturale del pianeta. In breve, contestare che la CO2 sia un inquinante è un artificio retorico e non trova riscontro nelle leggi americane, nella teoria economica o nelle ricerche.
4.
La quarta contestazione dei sedici scienziati è che i climatologi scettici vivano in un regime di terrore, temendo per la propria sopravvivenza professionale e personale. Scrivono:
Malgrado il numero scienziati che dissentono pubblicamente continui a crescere, di nascosto molti giovani scienziati dicono di avere seri dubbi sul messaggio del riscaldamento globale, ma che non osano parlare per la paura di non essere promossi – o peggio…
La scienza non dovrebbe funzionare così, ma è già successo, per esempio nel periodo spaventoso in cui Trofim Lysenko aveva sequestrato la biologia in Unione Sovietica. I biologi sovietici che rivelavano di credere nei geni, considerati da Lysenko una finzione borghese, sono stati licenziati. Molti sono stati mandati nel Gulag ed alcuni condannati a morte.
Dobbiamo sempre diffidare dagli istinti gregari, ma questa storia sinistra è del tutto fuori luogo.. Qualche informazione su Lysenko sarà utile. Era il leader di un gruppo che rifiutava la genetica corrente e sosteneva che le caratteristiche acquisite di un organismo potevano essere ereditate dai suoi discendenti. Lysenko approfittava dell’ideologia sovietica sull’eredità, della necessità di aumentare le rese agricole e del favore di un potente dittatore – Stalin – per reclutare aderenti alla sua teoria. Sotto la sua influenza, la genetica è stata ufficialmente condannata come ascientifica. Una volta che Lysenko ebbe il controllo della biologia russa, le ricerche genetiche sono state vietate e migliaia di genetisti sono stati licenziati. Molti importanti genetisti sono stati mandati in esilio nei campi di lavoro in Siberia, avvelenati o fucilati. La sua influenza è cominciata a declinare dopo la morte di Stalin, ma ci sono voluti molti anni alla biologia russa per superare l’affare Lysenko. [8] L’idea che i climatologi scettici siano trattati come i genetisti russi nel periodo stalinista di fatto non ha alcun fondamento. Non c’è alcun dittatore politico o scientifico negli Stati Uniti. Nessun climatologo è stato espulso dall’Accademia delle Scienze degli Stati Uniti. Nessuno scettico è stato arrestato o rinchiuso nel gulag o moderni equivalenti della Siberia. In realtà gli autori dissenzienti stanno nelle più grandi università del mondo, compresa Princeton, MIT, Cambridge e Parigi. So per esperienza personale quanto sia vivace il dibattito sulla politica del cambiamento climatico. Molti dettagli della scienza e dell’economia del clima sono ancora controversi. Alcuni sostengono che gli scettici non possono pubblicare nelle riviste, i propri saggi, ma i documenti di lavoro e Internet sono aperti a tutti. Penso il contrario di quello che i sedici scienziati affermano essere la verità: le voci dissidenti e le nuove teorie sono incoraggiate perché sono fondamentali per affinare la nostra analisi. L’idea che la scienza e l’economia del clima siano soppresse da un moderno Lysenkismo è pura fantasia.
5.
Un quinto argomento è che i climatologi mainstream beneficiano del clamore sul cambiamento climatico:
Perché mai il riscaldamento globale suscita tanta passione…? Ci sono diverse ragioni, ma un buon punto di partenza è la vecchia domanda “cui bono”? O in versione moderna “Segui i soldi”.
L’allarmismo sul clima conviene a molti: alla ricerca accademica procura finanziamenti e alle burocrazie governative un motivo per espandersi. L’allarmismo offre anche ai governi un pretesto per aumentare le tasse, le sovvenzioni finanziate con le tasse per le aziende che capiscono come lavorarsi il sistema politico, e un’esca per grandi donazioni a fondazioni senza scopo di lucro che promettono di salvare il pianeta.
L’argomento è infondato e sbagliato dal punto di vista della storia della scienza. Insinua che le teorie prevalenti sul riscaldamento globale siano state escogitate dall’equivalente di Madison Avenue (a New York, dove si concentrano le grandi agenzie di pubblicità, ndr) per ottenere fondi da enti governativi come la National Science Foundation (NSF). Fatto sta che i primi calcoli accurati sull’aumento delle temperature alla superficie terrestre insieme a quello delle concentrazioni di CO2 sono stati fatti da Svante Arrhenius nel 1896, più di mezzo secolo prima che venisse fondata la NSF.
Gli scettici sbagliano anche sugli incentivi per la ricerca accademica. Gli autori dei rapporti IPCC non sono pagati. Gli scienziati che prestano servizio nei gruppi dell’Accademia Nazionale della Scienza lo fanno senza compenso e ogni loro possibile conflitto di interesse viene esaminato. La carriera accademica si basa principalmente sulle pubblicazioni e sui contributi all’avanzamento della conoscenza, non sull’appoggio dato a tesi “popolari”. Infatti, gli accademici sono stati spesso oggetto di duri attacchi politici quando i loro risultati si scontravano con gli insegnamenti politici o religiosi del tempo. Succede oggi in economia: gli economisti keynesiani vengono attaccati perché appoggiano lo “stimolo fiscale” per promuovere la ripresa da una profonda recessione. E in biologia: i biologi evoluzionisti vengono attaccati come atei perché non rinnegano la scoperta che la Terra ha miliardi di anni, e non poche migliaia.
La tesi della venalità accademica è sostanzialmente un diversivo. I soldi in ballo sono quelli di società, industrie e singoli individui preoccupati perché i loro interessi economici potrebbero risentire da misure per rallentare il cambiamento climatico. Gli attacchi alla scienza del riscaldamento globale ricordano la resistenza, ben documentata, dei produttori di sigarette dopo le scoperte scientifiche sui danni del fumo. Dal1953 inpoi, le più grandi aziende hanno lanciato una campagna di pubbliche relazioni per convincere il pubblico e il governo che il presunto pericolo del fumo non aveva alcuna solida base scientifica. L’atteggiamento più equivoco è stato quello dei ricercatori che hanno aderito alla campagna, riassunta dal dirigente di una di quelle aziende con “il dubbio è il nostro prodotto perché è il mezzo migliore per competere con “l’insieme dei fatti” presente nelle mente del pubblico. Serve anche a stabilire che esiste una controversia”. [9]
Uno degli aspetti più preoccupanti della distorsione della scienza del clima è che le somme in gioco sono enormi – ben più di quelle per tenere in vita l’industria del tabacco che oggi, negli Stati Uniti, ha un giro di affari inferiore ai 100 miliardi di dollari. Per contro, le spese per tutti i beni energetici e per i servizi si avvicinano ai 1.000 miliardi. Per molte imprese, limiti alle emissioni di CO2 tali da far ridiscendere la curva delle temperature dalla sua attuale traiettoria verso più 2° o 3° C avrebbero un forte effetto economico. Scienziati, cittadini e i nostri leader dovranno essere molto attenti ad impedire ai mercanti del dubbio di inquinare il processo scientifico.
6.
Il punto finale concerne l’analisi economica. I sedici scienziati affermano, citando la mia ricerca, che interventi per rallentare il cambiamento climatico nei prossimo cinquant’anni non giovano all’economia:
Uno studio recente di una vasta gamma di opzioni politiche, fatto dell’economista di Yale William Nordhaus, ha mostrato che il miglior rapporto costi-benefici si raggiunge con altri 50 anni di sviluppo economico non intralciato da un controllo dei gas serra. Sarebbe particolarmente benefico per le zone meno sviluppate del mondo che vorrebbero condividere alcuni dei vantaggi del benessere materiale, della salute e dell’aspettativa di vita di cui godono le aree del mondo pienamente sviluppate. Numerosi altri interventi porterebbero a un ritorno negativo sugli investimenti. Ed è probabile che più CO2 ed il modesto riscaldamento che potrebbe derivarne sarebbe un vatanggio generale per il pianeta.
Su questo punto, non ho bisogno di ricostruire le proiezioni dei climatologi o le persecuzioni dei genetisti sovietici. Ho fatto io la ricerca e scritto io il libro su cui si basano gli scettici. La loro sintesi denota un’analisi carente e una lettura sbagliata dei risultati.
Il primo problema è un errore elementare di analisi economica. Gli autori citano il “rapporto costi-benefici” a sostegno della loro argomentazione. Nozioni di base di economia aziendale e di costi-benefici insegnano che quel rapporto non è il criterio corretto per scegliere investimenti e interventi. Il criterio appropriato in questo contesto è quello dei benefici netti (cioè, la differenza fra costi e benefici e non il rapporto tra le due cifre).
Lo dimostra un semplice esempio di investimenti per rallentare il cambiamento climatico. Mettiamo di pensare a due possibili interventi. L’intervento A richiede un piccolo investimento per abbattere le emissioni di CO2. Costa relativamente poco (diciamo 1 miliardo di dollari) ma ha benefici sostanziali (diciamo 10 miliardi di dollari), per un beneficio netto di 9 miliardi di dollari. Confrontiamolo ora con un investimento molto efficace e più consistente nell’intervento B. Costa di più (diciamo 10 miliardi di dollari) ma ha benefici sostanziali (diciamo 50 miliardi di dollari), per un beneficio netto di 40 miliardi di dollari. B è preferibile perché ha un beneficio netto maggiore (40 miliardi in confronto ai 9 di A), sebbene A abbia un rapporto costi-benefici maggiore (10,rispetto a 5 per B). L’esempio mostra perché dovremmo, nel progettare gli interventi più efficaci considerando i benefici al netto dei costi, e non divisi per i costi.
Arriviamo così al secondo punto, e alla sintesi sbagliata dei miei risultati. La mia ricerca mostra che ci sono benefici netti sostanziali nell’agire ora piuttosto che tra 50 anni. Uno sguardo alla Tabella 5-1 di A Question of Balance (2008) fa vedere che un ritardo di 50 anni nel ridurre le emissioni di CO2 costerebbe 2,3 mila miliardi di dollari ai prezzi del 2005. Se aggiorniamo la somma ai prezzi e all’economia di oggi, la perdita sarebbe di 4,1 mila miliardi. Si son fatte guerre per somme inferiori. [10] Il mio studio è solo uno dei tanti a indicare che un’economia efficiente punterebbe a ridurre subito le emissioni di CO2 e di altri gas serra senza aspettare per mezzo secolo. Aspettare non crea soltanto un costo economico, ma rende anche più costosa la transizione che dovrà comunque aver luogo. Gli attuali studi economici suggeriscono che l’intervento più efficiente è aumentare il costo delle emissioni di CO2 in modo sostanziale, o attraverso il “cap-and-trade” (limitazione e scambio) o con tasse sul carbonio, per fornire alle imprese e alle famiglie incentivi appropriati per riconvertirsi ad attività a basse emissioni. Si potrebbe obiettare che ci sono tuttora molte incertezze e che dovremmo aspettare finché non siano superate. Sì, ci sono molte incertezze. Ma non vuol dire che bisogna rimandare. Per eseperienza, dopo aver studiato la materia per molti anni, so che ogni approfondimento scientifico porta a nuove enigmi e a incertezze maggiori. Si moltiplicano le domande sul futuro delle grandi piattaforme di ghiaccio della Groenlandia e dell’Antartide Occidentale; lo scioglimento di vasti depositi di metano congelato; cambiamenti nella circolazione del Nord Atlantico; un riscaldamento potenzialmente fuori controllo; impatti della carbonizzazione e dell’acidificazione degli oceani. Inoltre, i nostri modelli economici stentano a incorporare in modo affidabile questi grandi cambiamenti geofisici e i loro impatti. Gli interventi messi in atto oggi servono da argine contro inaspettati pericoli futuri che emergono improvvisamente a minacciare le nostre economie ed il nostro ambiente. Se non altro, le incertezze spingerebbero per tanto a politiche più decise piuttosto che il contrario, da adottare prima piuttosto che dopo, per rallentare il cambiamento climatico.
Il gruppo dei 16 scienziati sostiene che dovremmo evitare l’allarmismo sul cambiamento climatico. Trovo che valga altresì per chi annuncia una catastrofe economica se intraprendiamo passi per rallentarlo. Non ci sono analisi economiche serie per poter dire che leggi di cap-and trade o una tassa sul carbonio sarebbero rovinose o disastrose per le nostre società. Abbiamo bisogno di affrontare i problemi con mente fredda e cuore caldo. E nel rispetto della logica e della scienza seria.
22 febbraio 2012
1. L‘autore è professore di economia all’Università di Yale. Ha ricevuto sostegno per la ricerca sull’economia del cambiamento climatico durante l’ultimo decennio dalla National Science Foundation, dal Dipartimento dell’Energia e dalla Galser Foundation. Salvo futura ricerca associata a qualche futuro sovvenzionamento, l’autore dichiara di non avere alcun conflitto di interesse.
2. Sono le serie dello Hadley Centre britannico, del Goddard Institute for Space Studies (GISS) e del National Climate Data Center (NCDC) negli Stati Uniti. Per chi sospetta le serie delle temperature globali di essere anch’esse il prodotto di una cospirazione scientifica, ecco un’ulteriore verifica. Insieme al mio collega Xi Chien, ho costruito un altro indice della temperatura media globale. Abbiamo usato i dati delle temperature nella griglia di cellule e le abbiamo aggregate in una media globale calibrata sulla superficie territoriale della nostra ricerca. Per maggior prudenza, abbiamo anche controllato la griglia di cellule intorno al mondo (come Dakar, Albuquerque, Casablanca, Llasa, Yunchuan e Yellowknife). La nostra serie storica di temperature si comportava in modo molto simile a quelle fatte dai climatologi.
3. Ecco un esempio di come gli statistici affrontano il problema delle temperature crescenti. Molti scienziati del clima ritengono che il riscaldamento indotto dalla CO2 sia diventato particolarmente rapido dal 1980. Quindi possiamo usare un’analisi statistica per verificare se la tendenza della temperatura media globale è più accentuata nel periodo 1980-2011 che nel periodo 1880-1980. Un’analisi di regressione determina che la risposta è sì, l’aumento della temperatura è di fatto più rapida. Una simile analisi procede in questo modo: la serie “TAVt” è la media fra le medie annuali di GISS, NDCD e Hadley. Stimiamo una regressione della forma TAVt = α + β Annot + γ (Anno dal 1980)t + εt. In questa formula “Annot” è semplicemente l’anno , mentre (Anno dal 1980)t è da 0 a 1980 e quindi (Anno-1980) per gli anni dopo il 1980. Le lettere greche ( (α, β, and γ) sono coefficienti, mentre εt è un errore residuale. L’equazione stimata ha un coefficiente sull’Anno di 0,0042 (t-statistico = 12,7) ed un coefficiente sull'(Anno dal 1980) di 0.00135 (t-statistico = 8,5). L’interpretazione è che le temperature nel periodo 1880-1980 sono cresciute di 0,.0042 °C all’anno, mentre nel periodo successivo sono cresciute di 0,0135°C all’anno. La statistica-t nelle parentesi indica che il coefficiente sull'(Anno dal 1980) era 8,5 volte il suo errore standard. Usando gli standard per la significanza statistica, questo grande coefficiente-t potrebbe essere ottenuto con una possibilità su un milione. Possiamo usare altri anni tra il 1930 e il 2000 come punti di rottura, e la risposta è la stessa: c’è stata una più rapida crescita della temperatura media globale nel periodo più recente che non in quelli precedenti.
4. Uso questo esempio per illustrare un esperimento che è stato condotto per determinare la coincidenza tra i modelli climatici e le temperature osservate.L’esperimento è iniziato con 14 diversi modelli climatici. E’ stata calcolata la traiettoria delle temperature dal 1900 al 2005 con e senza la CO2 e gli altri fattori di origine umana. La figura in basso, tratta dal IV rapporto dell’IPCC, mostra i calcoli che contemplano solo le forzanti naturali quali eruzioni vulcaniche e cambiamenti nell’attività solare. La linea nera è la registrazione della reale temperatura, mentre la linea blu è la media dei modelli di temperatura globale calcolata con le sole forzanti naturali (“without GHG” – greenhouse gases; senza gas serra, ndt). Le linee azzurre sono il risultato dei singoli modelli, mentre le righe grigie verticali rappresentano i maggiori eventi di raffreddamento dovuti ad eruzioni vulcaniche.
La parte in alto mostra i calcoli che includono sia le forzanti naturali sia le concentrazioni stimate di gas serra e le loro forzanti. Inoltre, la linea nera è la reale registrazione della temperatura, mentre la linea rossa è la media della temperatura complessiva calcolata con la CO2 e altri gas serra, e con le forzanti naturali (“with GHG”). La nuvola di linee gialle sottili rappresenta i risultati dei singoli modelli.
L’esperimento mostra che i modelli climatici coincidono con la tendenza della temperatura durante gli ultimi anni solo se vengono tenute in considerazione le stime indotte dall’accumulo di CO2 ed altri gas serra.
Fonte: IPCC Fourth Assessment Report: Climate Change 2007, Working Group I Report, The Phsical Science Basis, a cura di S. Solomon et al., Cambridge University Press, 2007, p. 685f.
5. Id., p. 687.
6. Opinione della Corte in Massachusetts v. Environmental Protection Agency, 549 U.S. 497 (2007).
7. Richard S. J. Tol, “The Economic Effects of Climate Change,” The Journal of Economic Perspectives , Vol. 23, No. 2 (primavera 2009).
8. Un racconto agghiacciante della storia si trova in ““The Consequences of Political Dictatorship for Russian Science,” Nature Reviews Genetics , Vol. 2 (settembre 2001).
9. Brown & Williamson Tobacco Corporation, “Smoking and Health Proposal” 1969, disponibile presso la Legacy Tobacco Documents Library (legacy.library.ucsf.edu). C’è una vasta letteratura sulla strategia dell’industria del tabacco per distorcere le prove scientifiche e promuovere opinioni favorevoli al fumo, cfr. Stanton Glantz et al., The Cigarette Papers,University of California Press, 1996; Robert Proctor,Cancer Wars: How Politics Shapes What We Know and Don’t Know about Cancer, Basic Books, 1995. La storia è aggiornata all’era moderna e agli attacchi dell’industria alla scienza ambientale in Merchants of Doubts di Naomi Oreskes e Eric Conway, Bloomsbury, 2010..
10. La stima proviene da A Question of Balance: Weighing the Options on Global Warming Policies, Yale University Press, 2008, p. 82. Per aggiornare i prezzi dal 2005 al 2012 si usa l’indice dei prezzi del PIL degli Stati Uniti, stimato del 15,6% superiore nel 2012 che nel 2005. Il numero è poi insirito nell’economia del 2012 usando un reale tasso di sconto del 6% all’anno.
Traduzione di Massimiliano Rupalti; revisione di Sylvie Coyaud.
24 responses so far
Una considerazione sul punto (2).
Secondo me le considerazioni in merito del prof. Nordhaus non provano che i modelli abbiano dimostrato una buona capacità predittiva. Piuttosto, da quanto scrive, si può desumere che, se i modelli fossero affidabili, allora la CO2 sarebbe la causa sostanziale dell’aumento delle temperature.
Che ne pensate?
agrimensore g hai qualche pianeta nel cassetto per fare un test diretto?
@redazione
“Dal2005 inpoi” sarebbe da correggere in “Da lì in poi fino al 2005” oppure “Dal 1980 al 2005”. L’inglese è ambiguo, ma il senso è chiaro, vedi figure nella nota 4.
@agrimensore g
Come scrive Nordhaus, i modelli che escludevano l’effetto dei gas serra davano previsioni sbagliate; i modelli che li includevano davano previsioni corrispondenti alle temperature misurate.
Non sono i modelli a dire che le emissioni di gas serra sono una causa sostanziale, è la fisica dei gas.
@ Oca Sapiens
ok, grazie,
ENTRO IL 2020 L’ACQUA SARA’ RARISSIMA, ANDIAMO VERSO LA SICCITA’ TOTALE…L’UMANITA’ E’ ALLA FRUTTA….ORAMAI NON ABBIAMO PIU’ SPERANZA…..E’ STATO BELLO…SARA’ PER UN’ALTRA VOLTA….QUELLO CHE A BREVE ACCADRA’ SULLA TERRA SARA’ INIMMAGINABILE PER L’UOMO ATTUALE. PREGATE!
Lo scritto di Nordhaus è molto bello, per la chiarezza espositiva e la precisione di alcune osservazioni. Unica cosa che non mi pare azzeccata è l’uso del termine “scettico”, che è un termine con un’accezione positiva, laddove indica il giusto riguardo al dubbio e alla cautela; poco si addice a chi ancora sostiene che il pianeta non si sta scaldando o che il riscaldamento si è fermato.
Il termine più corretto a mio parere è denialist, ossia negazionista climatico.
Ne abbiamo già discusso qui: https://www.climalteranti.it/2009/10/27/c%E2%80%99e-un-altro-termine-per-indicare-il-negazionismo/
Nordhaus scrive giustamente al punto 4 che “le voci dissidenti e le nuove teorie sono incoraggiate perché sono fondamentali per affinare la nostra analisi. ”
Il fatto è che gli argomenti pubblicati sul WSJ da questi 16 non sono affatto nuovi e riproporli non è un segno di scetticismo.
Il dubbio e lo scetticismo sono ingredienti irrinunciabili del processo scientifico, ma noi siamo gli scettici, non loro.
@claudio della volpe
Non ho capito il nesso tra la sua domanda retorica e la mia considerazione.
@oca sapiens
Non si tratta di previsioni, ma di ricostruzioni del passato.
@Stefano Caserini
Qual è il nome che ritiene più adatto per chi rimane perplesso sul fatto che sia stata effettivamente provata la bontà predittiva dei modelli, senza mettere in discussione riscaldamento, aumento CO2 ad opera dell’uomo, buona fede e capacità degli scienziati?
agrimensore
a mio avviso non è solo la posizione su alcune questioni che rende tale un negazionista, piuttosto è l’atteggiamento complessivo. Ad esempio, una negazione pregiudiziale della “bontà predittiva dei modelli”, qualunque cosa ciò significhi, sarebbe negazionismo lo stesso, soprattutto se accompagnata da una visione parziale e riduttiva dei dati climatici; i GCM, infatti, sono uno dei tanti tasselli che fanno ritenere grave il problema, non l’unico pilastro. E’ assolutamente possibile ritenere il problema climatico altrettanto grave senza il supporto dei modelli.
Ecco, una caratteristica dei negazionisti è quella di non considerare mai il problema nel suo complesso, negare un singolo aspetto e ritenere per questo che tutta la struttura non stia in piedi. Ovviamente non è così.
[…] all’intervento di William Nordhaus pubblicato sul New York Review of Books (vedi il post “Perché sbagliano gli scettici del riscaldamento globale”), tre famosi “scettici”, Roger Cohen, William Happer e Richard Lindzen, hanno inviato una […]
@ Agrimensore
dipende da cosa intende per “provare effettivamente la bontà predittiva dei modelli”; è il tipo di prove che gli stessi modellisti cercano, le assicuro; i dubbi ce li hanno loro per primi.
@agrimensore g
Sono proprio modelli di previsione (forecasting). Per gli esperimenti con le forzanti si usa il backtesting, il collaudo abituale, ma con e senza GHG, o vulcani, ENSO ecc.
@Stefano Caserini
Quello che penso anch’io!
@oca sapiens
Se il grafico parte dal 1900 non è una previsione
@Reitano
Non ho capito, se la perplessità verte sull’affidabilità GCM, o al più sulle stima della sensibilità climitica, e non su altro, si viene definiti lo stesso “negazionisti”? Esiste la possibilità, almeno teorica, che una persona qualsiasi possa rimanere perplesso su qualche aspetto dell’AGW senza essere definito negazionisti?
agrimensore
tutti abbiamo delle perplessità su qualche fenomeno climatico specifico. Ad esempio, io stesso trovo poco convincente l’idea stessa di oscillazione nord-atlantica, quando questa è invece largamente accettata. Alzando il livello, la letteratura scientifica è piena di dibattiti su un sacco di questioni. La domanda che fa è quindi sostanzialmente mal posta perché in senso stretto tutti hanno qualche perplessità su almeno qualcosa.
Il negazionismo si caratterizza con il rifiuto di fatto dell’intera mole di conoscenze che portano alla stessa conclusione, supportandosi a vicenda. Anche ad avere, ad esempio, perplessità (che andrebbero meglio specificate) sulla validità dei GCM, si può facilmente arrivare alle stesse conclusioni generali sul futuro che ci aspetta seguendo altre strade. Ma se si continua con l’espressione di “perplessità” ad ogni altra evidenza presa singolarmente, ecco che viene fuori il negazionismo; la prima regola è quella di mettere in dubbio singolarmente ogni cosa e non guardare mai al quadro complessivo.
Le in genere inutili discussioni con i negazionisti si avvitano sempre attorno a questo comportamento caratteristico, cosa che porta a cercare di sconfessare solidissime basi fisiche di tutt’altra natura ma che applicate al sistema climatico portano a conclusioni indesiderate. Se si lascia andare la discussione abbastanza avanti, il negazionista tende inesorabilmente a scivolare verso il rifiuto della scienza, cosa che lui ovviamente nega.
@agrimensore g
Certo, ma i modelli sono gli stessi, prima di fare previsioni devono azzeccare le “retrovisioni”. Il collaudo con il backtesting si usa dappertutto, dalle previsioni meteo al quelle del traffico a Londra durante le Olimpiadi. Si tengono da parte una o più serie di misure ottimali e se il modello non le simula bene, si butta.
@oca sapiens
Il problema nasce se i dati per il backtesting sono gli stessi usati per definire i fine parameters del modello.
@Reitano
Avrei preferito una risposta diretta alla prima domanda, anzichè partire dalla fenomenologia del negazionista. Comunque, leggendola mi pare non possa essere considerato un negazionista chi ha dubbi sul fatto che sia stata sufficientemente dimostrata l’affidabilità dei modelli (e non su altri aspetti quali l’esistenza dell’effetto serra, aumento della CO2 per fattori umani con conseguente riscaldamento del pianeta, capacità e onestà degli scienziati, ecc.). O almeno, così mi sembra di poter dedurre.
agrimensore
la risposta diretta c’è: “La domanda che fa è quindi sostanzialmente mal posta”
Ho concluso, non sono partito, con cosa ritengo essere negazionismo; è un giudizio di valore e quindi personale. Posso comprendere che non le interessava saperlo.
@agrimensore g
Ma quello sarebbe barare!
Non avrebbe molto senso, però. Se non esclude altre serie o altri periodi della stessa serie, con che cosa confronta il risultato del backtesting? E senza backtesting, come fa a sapere se i suoi parametri sono realistici?
@agrimensore
in tutta franchezza non è facile capire il suo cruccio.
Intanto, potrei, sbagliarmi, ma ho il sospetto che lei non abbia molto chiaro di che si parla, in tema di modelli atmosferici: le parametrizzioni sono solo una componente di questi, importante quanto vuole, ma i modelli contengono anche altro. Chiarito l’equivoco, resta il suo problema, e solo suo. I parametri ovviamente sono scelti per essere i migliori possibili sulla base di dati noti, come altro si potrebbe fare?
Faccio un esempio semplice, magari poco attinente, ma solo per chiarezza. Lei mi insegna che un metodo per migliorare la previsioni di determinate variabili meteo locali (es la temperatura a 2 metri) da un modello meteorologico è il MOS. Il MOS si mette a punto a partire dalle serie osservate, e una volta stabilita la relazione statistica tra predittori e predittandi, userò lo schema per estrapolare la mia variabile anche nel futuro. Per definizione il procedimento, il più delle volte, funziona. Cosa non va secondo lei?
la questione dei modelli è un problema topico della climatologia; se avessimo un pianeta in più potremmo sperimentare direttamente e vedere cosa succede se..; non avendo un altro pianeta possiamo solo costruirne uno virtuale e fare un esperimento virtuale; se possiamo ricostruire il clima degli ultimi millenni con certi programmi allora con quei medesimi programmi possiamo anche cercare di costruire scenari del futuro;
noi un secondo pianeta da usare come modello sperimentale non lo abbiamo e DOBBIAMO usare i modelli del clima
@homoereticus, oca sapiens
Se i parametri (es.: formazione nubi) implementati in un modello (es.: GISS- model E) vengono tratti da un lavoro (es.: specifico paper di Del Genio) che esamina un certo periodo temporale, e se il back-testing si esegue sullo stesso periodo, allora, secondo me, c’è un piccolo problema.
@reitano
Il tema riguardava la posizione di chi non mette in dubbio:
– aumento di CO2 ad opera del’uomo
– esistenza effetto serra
– aumento in qualche misura della T a causa dell’aumento della CO2
ma solo:
– provata affidabilità dei modelli (e sensibilità climatica)
Anche in questo caso si parla di negazionismo (termine che io comunque non adopererei)?
Lei scrive che è una domanda malposta. Chi legge giudicherà se è malposta o se è elusa.
@cdv
I modelli sono stati testati nell’ultimo trentennio, senza necessità di un altro pianeta. I risultati rientrano appena (o quasi ) nei 2 sigma. E come se su un caso sperimentale avessimo trovato che il risultato è corretto giusto perchè rientra appena nella barra dei due sigma. Possiamo dire che l’affidabilità delmodello è comprovata?
Questo è il mio 5o e quindi ultimo commento sul tema.
agrimensore
comprendo l’esigenza dei sedicenti scettici di riposizionarsi per cercare di apparire come il ragionevole punto di mezzo fra gli opposti estremismi, con la benedizione niente meno che di Fred Singer. Ma continuo a non capire cosa la rende perplesso sulla mia risposta, dico quella lunga dove il concetto veniva chiarito. Infatti non l’ha nemmeno commentata, ha chiesto e preferito la risposta breve per poterla distorcere e presentarla come un’elusione. Questi mezzucci retorici potrebbe anche risparmiaceli.
agrimensore i modelli sono stati testati PERCHE’ non c’era un altro pianeta, i modelli climatici su SOLI 30 anni sarebbero una schifezza; se ci fosse stato un altro pianeta avremmo avuto un bel laboratorio sperimentale; ma non ce l’abbiamo ergo i modelli servono e sono il riferimento principale e non su 30 anni su molto di più; non so a quali si riferisca che danno errori cosi’ grandi; a me risultano errori ben più compatibili con la realtà; un’altra cosa importante è che ci sono molti modelli e la loro media si comporta meglio se non di ciascuno di essi di parecchi di essi; quindi abbiamo colto l’essenziale forse non siamo in grado di mettere ancora tutto insieme, ma lo stiamo sempre meglio chiarendo. e le risposte sono sempre quelle;
@agrimensore g
Gavin Schmidt riparla dei modelli nel nuovo post – forse le chiarisce alcuni dubbi.
Mi sono spiegata male: il backtesting è una procedura di routine, per il fine tuning di un parametro bisogna raccogliere nuovi dati – fare ricerca.
Il GISS E è diverso dalle versioni usate per il backtesting: incorpora tutti i parametri collaudati. Finché risultano validi, sarebbe stupido buttarli via.
Yao, Del Genio et al. confrontano le previsioni di modelli – backtested sulle temperature – per i feedbacks delle nubi al raddoppio della CO2 da quasi 30 anni. Sono ancora scontenti delle incertezze sui parametri, ma le hanno ridotte di parecchio anche facendo osservazioni
“I modelli sono stati testati nell’ultimo trentennio… i risultati rientrano appena (o quasi ) nei 2 sigma”
non è così, salvo confondere la tendenza con le variazioni interannuali o farla partire dal 1998. E sono testati da oltre 60 anni.
Perchè non cercare una riduzione del riscaldamento globale anzicchè arrovellarsi sulle sue cause? Comiciamo a sostituire le discariche e gli inceneritori dei r.s.u. con un sistema alternativo che costa meno e non inquina,che sarò lieto di spiegare a chi ne sia seriamente interessato.Prima però bisogna convincere i nostri amministratori, i quali continuano con le vecchie soluzioni,dannose alla salute ed all’economia dei cittadini.