La catena degli errori
La cosa originale dell’articolo di Elena Dusi pubblicato su Repubblica non è l’aver dato una notizia (il mancato riscaldamento.. in barba ai modelli) infondata, ma il fatto che sia stato ripreso da altri giornali con risultati piuttosto divertenti. Analizzare quanto successo fa capire come funziona un certo tipo di informazione, e perché i giornali più seri non dovrebbero “sparare” bufale nei titoli in prima pagina.
Il quotidiano Libero è partito da quanto scritto su Repubblica in un misurato articolo intitolato “Il riscaldamento globale non c’è, ma ci è già costato 300 miliardi”, firmato da Maurizio Stefanini e pubblicato l’11 aprile.
A differenza dell’articolo di Dusi, si tratta di un articolo negazionista, che sostiene l’inesistenza del problema climatico e l’inutilità di occuparsene. L’occhiello“Ambientalisti smentiti” sembra voler confinare il riconoscimento del riscaldamento globale in corso a qualche associazione ambientalista, mentre l’esistenza e la gravità di questo problema è stato accettato non solo da tutte le organizzazioni scientifiche, ma dal G8 e da tutti i paesi del mondo in centinaia di documenti, dalla Convenzione ONU sul Clima (nel 1992!) al “Doha Gateway” (2012).
Nel testo di Stefanini, la cosa singolare è innanzitutto il senso di inferiorità che fa
trasparire, in quanto cita un quotidiano concorrente come fonte autorevole, “ufficiale”, come se fosse necessario distinguerla dalle fonti abituali di Libero, implicitamente meno autorevoli.
Per buona parte, il giornalista si occupa dei costi delle azioni per contrastare il riscaldamento globale; discute di improbabili numeri sui “costi del protocollo di Kyoto fino al 2100”, che avrebbero come fonte lo statistico danese Bjorn Lomborg, che di errori gravi nei suoi scritti sul cambiamenti climatici ne ha già fatti parecchi (si veda al riguardo la mia analisi in “A qualcuno piace caldo” – qui). Senza entrare nel merito, basti dire che non esiste un “protocollo di Kyoto fino al 2100”, ma c’è stato un primo periodo di impegni per il 2008-2012 e gli impegni per il secondo periodo 2013-2020 sono tutt’ora oggetto di trattativa.
Da notare infine il titolo, che mette in discussione l’esistenza stessa del riscaldamento globale, risultato di un progressiva catena di errori: si è partiti dal “rallentamento” del riscaldamento globale nel titolo dell’articolo su Nature Climate Change (7 aprile), passando per il presunto mistero della “Terra che non si surriscalda più” (10 aprile) e si arriva a “Il riscaldamento globale non c’è” (11 aprile).
L’infortunio di Repubblica non poteva non essere ripreso dal Foglio, altro quotidiano negazionista sul clima e non solo, con un lunghissimo articolo del solito Piero Vietti intitolato “La catastrofe può attendere”. Nel mondo in cui vive Vietti, sembrano tutti convinti che la tesi del riscaldamento globale sia crollata. Si tratta di un mondo molto piccolo, popolato dai soliti noti: ancora, Bjorn Lomborg, che sembra l’unico meritevole di essere citato quando si parla di economia dei cambiamenti climatici, il “climatologo di fama mondiale Franco Prodi”, il meteorologo Guido Guidi e l’“agro meteorologo e meteoclimatologo” Luigi Mariani.
A quest’ultimo viene lasciato più spazio per esporre opinioni che si rivelano piuttosto azzardate, come la seguente: “Bisognerebbe essere d’accordo sui dati. Poi si può dare l’interpretazione che si vuole, ma almeno sui dati dovremmo essere d’accordo. I dati sono quelli per cui dal 1998 le temperature sono stazionarie”. Ora, dire che dal 1998 le temperature sono stazionarie è già un’interpretazione dei dati. La cosa su cui dobbiamo essere d’accordo è che se si scaricano i dati delle temperature medie (ad esempio i dati GISS, dal 1998 al 2012, da qui) si ottengono le seguenti anomalie rispetto alla temperatura media 1951-1980, in centigradi: 0,61, 0,4, 0,41, 0,53, 0,62, 0,6, 0,52, 0,66, 0,59, 0,62, 0,49, 0,59, 0,66, 0,55, 0,56.
L’interpretazione più facile, che ormai sanno fare anche nelle scuole superiori, è ad esempio quella di trovare la tendenza dei dati, tramite una regressione lineare degli stessi e vedere la pendenza della retta risultante. Si ottiene il grafico a fianco, in cui la pendenza positiva, indica non la stazionarietà ma una tendenza al riscaldamento (seppure con una grande variabilità, come già discusso).
Un’interpretazione più corretta consiste nel calcolare la significatività del trend. Come già detto la cosa ha poco senso su soli 15 anni, in quanto per valutare una tendenza climatica serve un periodo più lungo. In ogni caso, se si usano i dati GISS e il test F ad un livello di significatività 0.05 0.2 , si ottiene una regressione statisticamente significativa.
Non solo Mariani tenta di spacciare per “dati su cui tutti dovremmo essere d’accordo” una sua interpretazione, ma questa è pure sbagliata.
La cosa più divertente è comunque il finale dell’articolo di Vietti, in cui si vede a quale livello di patetico complottismo sia ormai confinato il discorso negazionista sul clima: “Nel 1998 la rivista scientifica Nature pubblicò uno studio che attribuiva il riscaldamento artico all’attività umana. Il professor Mariani con alcuni colleghi, applicando un modello diverso, ottenne risultati molto diversi. Spedì a Nature il suo studio, che passò la revisione di “arbitri” terzi. Il direttore di Nature non pubblicò lo studio: “Il pubblico non potrebbe capire – spiegò a Mariani – E comunque la nostra linea è un’altra”.
Per quanto conosciamo delle riviste scientifiche, questo racconto sembra davvero poco credibile: prima di crederci vorremmo vedere lo studio “alternativo”, la peer review che ne raccomandava la pubblicazione e la lettera del direttore di Nature.
Testo di Stefano Caserini, con il contributo di Sylvie Coyaud
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Nota del 31.5.2013 – Una normale bocciatura
Su Climate Monitor, Guido Guidi ha pubblicato la corrispondenza tra il presunto “direttore di Nature” e il prof. Luigi Mariani, accusandoci di “avere una conoscenza del mondo delle riviste scientifiche che alla luce dei fatti appare quanto meno incompleta”.
I lettori possono giudicare da soli, leggendo il carteggio.
Si tratta della normale bocciatura di un commento poco utile e contenente un importante lacuna di fondo. Viene stroncato dalla risposta di Gillett et al., i quali spiegano perché, contrariamente a quanto asserito, il commento non dimostra affatto che il trend delle temperature artiche non risenta di un influenza umana. In sintesi, il fatto che il modello lineare “arbitrario” (sic) costruito da Mariani et al. sulla base di diversi indici riesca a descrivere meglio la variabilità del clima polare è “unsurprising”, perché gli indici usati sono influenzati dalla variabilità stessa, così come dal forcing esterno dato dai gas climalteranti.
Il primo reviewer elenca errori e incongruenze nel commento e soprattutto ne coglie la debolezza principale (key weakness) : non considera l’influenza del forcing antropogenico sugli indici usati. Consiglia comunque la pubblicazione dello scambio in quanto Gillett et al. “tranquillizzano sulla robustezza delle proprie conclusioni”. (…do an excellent job of addressing all of the issues brought up by Mariani et al., to the extent that I think they will put numerous minds at ease regarding the robustness of their conclusions”).
Il secondo reviewer consiglia la pubblicazione dello scambio dicendo che ci sono validi punti in entrambe le posizioni.
“The exchange between Mariani et al. and Gillett et al. clarifies that Gillett et al. are focussing on the very long-term temperature trends in the observations that are commingled with large variability, both natural and anthro(po)genically influenced. The reader can easily judge from the exchange whether each side has made valid points, which I think they do. The climate models used in IPCC AR4 are definitively in need of improvements in the stratosphere and its coupling with the troposphere (annular mode simulations) and the tropical convective processes (teleconnections to higher latitudes)…”
Ma questa necessità di migliorare i modelli è ben nota ai lettori di Nature Geoscience nonché agli autori e ai lettori del capitolo 8 del quarto rapporto IPCC- WG1.
Il commento non è riuscito a dimostrare quanto pretendeva e contiene una criticità importante. Il linguaggio cortese dell’Assistant Editor è molto chiaro:
“based on the reviews, we are unable to conclude that the comment successfully challenges the main conclusions of the Gillett et al. study, namely that long term trends in temperature at the poles can be attributed, at least in part, to anthropogenic forcing. We therefore feel that your comment is unsuitable for Nature Geoscience”.
Anche se rasserenare “numerose menti” sulla robustezza delle conclusioni di Gillett et al. fosse stato lo scopo di Mariani et al., le linee guida del gruppo Nature specificano le caratteristiche che deve avere una pubblicazione peer-reviewed:
– Provides strong evidence for its conclusions.
– Novel (we do not consider meeting report abstracts and preprints on community servers to compromise novelty).
– Of extreme importance to scientists in the specific field.
– Ideally, interesting to researchers in other related disciplines.
Nessuno di questi criteri è soddisfatto da Mariani et al., e cercare altre motivazioni alla bocciatura richiede proprio quel “patetico complottismo” in cui, come si diceva, è ormai confinato il discorso negazionista sul clima.
54 responses so far
[…] un rallentamento della crescita, non una diminuzione! (guardate la figura più sopra – da “climalteranti.it” dove Stefano Caserini ci dimostra chiaramente che le temperature aumentano, eccome! (e se non ci […]
Beh, vedo che mi avete preceduto ad annunciare il mio articoletto sul fatto…. 🙂
Per integrare il bel commento da voi pubblicato sulla catena degli errori vorrei segnalare che l’articolo di Repubblica riprende la sua argomentazione iniziale traducendo quasi letteralmente quanto pubblicato da “the economist” nel numero del 30 Marzo nell’articolo “A sensitive Matter”. La giornalista della Repubblica attinge in modo non accurato dalla sua fonte e forse travisa al fine di creare notizia. L’articolo dell’Economist, al contrario di quelli comparsi sulla stampa italiana, mi sembra ben articolato e corretto nella sua esposizione. Sarebbe interesante una valutazione di climalteranti su come l’autorevole giornale inglese, fonte ispiratrice di tanta stampa italiana, affronta il problema del cambiamento climatico e del suo rallentamento.
Per rispondere all’Economist si potrebbe partire da qui:
http://www.realclimate.org/index.php/archives/2013/04/the-answer-is-blowing-in-the-wind-the-warming-went-into-the-deep-end/
A me la regressione non viene significativa: f(x)= 0,006x-12,042; R²= 0,12; p-value=0,1966; (dati da: http://data.giss.nasa.gov/gistemp/graphs_v3/Fig.A2.txt e il periodo è lo stesso del grafico).
Stando così le cose si può affermare che non c’è associazione tra il passare del tempo è l’incremento positivo dell’anomalia della temperature.
Del resto una retta con una pendenza pari a 0,006 genera un incremento positivo dell’anomalia prossimo al nulla (+0,036° anno) ma con l’espediente di far partire l’asse Y da 0,35 l’effetto ottico è quasi convincente.
elica
la non significatività non vuol dire che non c’è associazione, il non rigettare l’ipotesi nulla non implica la sua validità. In altre parole, non si può affermare che la temperatura non sia cambiata. Il trend è positivo (valore più probabile) anche nel caso in cui non sia statisticamente significativo, ma per affermarne statisticamente la validità i dati sono insufficienti.
@ Ugo
Il ping è automatico
@ Elica (o Erica?)
Ha ragione, nel foglio excel che usavo del test F avevo impostato il livello di significatività al 20%, al 5% il 1998-2012 il trend non è significativo. Ho corretto il testo, grazie.
Come scrive Riccardo, attenzione alla differenza: anche se la tendenza di aumento non è significativa al 0.05, questo non vuol significa che “le temperature sono stazionarie”. Affatto.
La tendenza di aumento c’è; se è significativo al 20% anziché al 5%, significa che l’errore che si può commette nel dire che c’è la tendenza di aumento (ossia la probabilità di rigettare l’ipotesi nulla in modo non corretto) è inferiore al 20% anziché al 5%.
Lo stesso tipo di incomprensione aveva dato origine un po’ di anni fa alla famosa incomprensione dell’intervista di Phill Jones http://news.bbc.co.uk/2/hi/8511670.stm
Ricordiamo comunque che, come scritto nel post, la variabilità c’è ed è tanta, ed è lei a rendere solo meno significativo il trend di riscaldamento (vedi post prcedente…)
Non so se dal 1800 in poi (intendo il periodo in cui ci sono delle misurazioni delle T abbastanza sistematiche) c’è mai stato un periodo di 15 anni con temperature “più stazionarie” (inteso come valore assoluto calcolato dal trend del warming/cooling rate minore di quello di questi ultimi 15 anni). Se così fosse, mi pare che la frase citata di Mariani non sia così censurabile.
agrimensore
se Vietti ha riportato bene l’affermazione di Mariani, parla di stazionarietà della temperatura dal 1998. Possiamo anche parlare di cosa è successo in altri periodi, ma è un altro discorso.
Va bene, se possiamo parlarne, discutiamone: io non credo che, nell’arco degli ultimi 3 secoli ci siano stati molti altri periodi di 15 anni con trend delle T in valore assoluto minore di quest’ultimo periodo (pur tenendo conto della variabilità, che 15 anni potrebbero essere pochi per stabilire alcunchè, ecc.). Mi sbaglio? Se mi sbaglio, quali sono? Se non mi sbaglio, possiamo dire che al di là della variabilità interannuale la T globale è stata relativamente stabile negli ultimi 15 anni (magari ripetendo che 15 anni potrebbero essere pochi per trarne conclusioni)?
Considerando che più del 90% del riscaldamento finisce negli oceani non vedo perché continuare a fissarsi sulla T atmosferica…
agrimensore
non capisco quale possa essere il significato climatologico della tua osservazione. Comunque, come esercizio matematico, ho calcolato tutti i possibili trend di 15 anni dai dati GISS. Come puoi vedere tu stesso, molti quindicenni hanno un trend inferiore all’ultimo (linea rossa).
@agrimensore
ma siccome dal 1998 le temperature non sono stazionarie, non so di cosa vuole discutere.
Riscaldamento Globale sovrastimato in questo decennio! Nuovo Studio
Una ricerca recentemente pubblicata su Nature Geoscience (Otto et al, 2013). Lo studio è a cura, principalmente di Alexander Otto,dell’ Università di Oxford.
Ma quale sarebbe la novità di questo studio?
Prende in considerazione una concentrazione di Biossido di Carbonio, doppia rispetto al riferimento pre-industriale, e mostra come il riscaldamento previsto, basato su dati più aggiornati dei precedenti, sia di 1.3°C, contro il 2.5° previsto dal modello HadGEM2 del Metoffice, e rispetto a multimodello usato dall’ IPCC, che prevede 1.8°C.
Ma questa differenza a cosa è dovuta? Al fatto che non veniva considerato un range di dati decennali ( infatti ricordiamo che nell’ ultimo decennio, nonostante tutti i record di caldo, in linea di tendenza, non ha mostrato un incremento del riscaldamento globale). Lo studio in questione lo fa, e mostra una certa “sopravalutazione”, solo per questo decennio, del riscaldamento globale. Questo studio sarà molto utile al futuro “tuning” dei modelli utilizzati per l’ IPCC.
chi e’ in possesso di questo studio?
@Reitano
Avevo scritto nel mio commento di un confronto di trend in _valore assoluto_ (altrimenti tutto il discorso sulla stazionarietà cade, mi pare evidente), così ho preso la sua immagine e ho ribaltato rispetto all’asse delle ascisse i trend con valori negativi. A questo punto ho calcolato empiricamente (cioè in via grafica) la percentulae tra i trend sopra e sotto quelli attuali. Il risultato è che circa il 70-75% del periodo preso in esame ha valori del trend superiore in valore assoluto all’attuale, quello della linea tratteggiata rossa. Solo il 20-25% è inferiore. Naturalmente, potrei aver sbagliato qualcosa nel procedimento.
@Steph.
Lo spiego subito con un esempio.
Se sto svolgendo l’esame di Fisica 1, la dizione “velocità costante” ha un ben preciso significato.
Se parlo con un amico e gli dico che sono andato da Roma a Milano a velocità costante è evidente che intendo dire che la velocità è stata _pressochè_ costante (sarebbe impossibile che il tachimetro sia rimasto fermo, immobile, inchiodato a un dato valore, senza contare che non precisione infinita…).
Ora, al di là di come precisamente siano state riportate o riassunte le dichiarazioni, mi sembra comprensibile che parlando con un giornalista anzichè di dire “il trend attuale è inferiore rispetto al 75% dei trend, in valore assoluto, calcolati a partire dal 1880” si sintetizzi il concetto dicendo che le temperature sono state “stazionarie” negli ultimi 15 anni (senza entrare nel merito delle motivazioni). Può essere una frase non del tutto corretta, ma sezionarla come fatto nel post mi sembra eccessivo. Questo senza voler essere l’avvocato di Mariani, ci mancherebbe, solo per riportare il tutto in un’ottica di giudizio più serena.
agrimensore
il 28% contro il 72%, complimenti per l’occhio 🙂
A parte il valore esatto, mi sembra di capire che è questo che intendi per “relativamente stabile”. Usando la stessa analogia che hai usato con steph, sarebbe come dire che uno è fermo perchè la sua velocità è sotto la media. Si può dire che ha rallentato, non che è fermo. Tornando quindi all’articolo, pur sbagliando per i motivi che sappiamo avrebbe dovuto dire piuttosto che il riscaldamento ha rallentato; mentre meno o più veloce ha un significato relativo, fermo (stazionario) è assoluto. Il concetto è sbagliato tout court, non è una semplificazione giornalistica.
Grazie mille, giro i complimenti a chi mi ha aiutato con photoshop (non è stato occhio, ho colorato i segmenti delle retta tratteggiata in rosso e verde, a seconda che il grafico si trovasse sopra o sotto, e poi ho utilizzato le utilities di photoshop per calcolare la percentuale di pixel rossi e verdi). Ho però commesso un banale errore laddove ho scritto “20-25” anzichè “25-30”.
Ciccio
lo studio che cerchi è qui. Una precisazione su quanto scrivi, si tratta della sensitività transiente, non quella all’equilibrio come comunemente si intende.
Non è esatto dire che questo studio cambi qualcosa per i modelli; come gli autori stessi dicono, la gran parte dei modelli CMIP5 sono consistenti con quanto trovato.
Ciccio
potrebbe interessarti cosa ha da dire uno degli autori.
@Riccardo
Aggiungerei anche questo:
http://www.guardian.co.uk/environment/climate-consensus-97-per-cent/2013/may/23/matt-ridley-climate-change-scepticism-risk
[…] nell’articolo si mostra un grafico proveniente da un post di Stefano Caserini su climalteranti.it. La figura è qui sopra. La pendenza della linea è inconfutabile, quindi, secondo il dataset […]
@ Riccardo
«la non significatività non vuol dire che non c’è associazione, il non rigettare l’ipotesi nulla non implica la sua validità.» Se non posso rigettare l’ipotesi nulla (non c’è trend) vuol dire che allo stato dei fatti la mia tesi (c’è un trend) è falsificata (Popper docet).
Se, come nel nostro caso, non posso rigettare l’ipotesi nulla (p-value>0.05), da un punto di vista statistico devo considerare casuale (non causale!) il fatto che nel periodo considerato le anomalie positive siano risultate leggermente crescenti. Perciò è corretto, sempre in termini statistici, parlare di assenza di trend.
@ Stefano
Temperature stazionarie? non mi pare di averlo nè scritto nè dato a intendere.
Il livello di significatività/probabilità non si cambia a piacere: o si usa lo 0.05 o lo 0.01; questo perchè altrimenti ognuno «dimostra» quel che gli pare alzando il p-value di quel tanto che basta.
Se il p-value fosse venuto diciamo 0.06 (ma anche 0.07) se ne poteva anche discutere ma se ti viene 0.19 si mantiene l’ipotesi nulla.
PS – elica è il nick, il nome è monica.
Nuove simulazioni climatiche, baste sui più recenti dati disponibili delle serie storiche, tendono a ridimesionare le ipotesi più estreme legate all’incremento termico previsto per i prossimi decenni. Se le emissioni dei gas serra non scenderanno, verrebbe comunque superata la soglia dei 2 gradi….
http://www.meteogiornale.it/notizia/27736-1-riscaldamento-globale-scenari-meno-catastrofici
elica
“Absence of evidence is not evidence of absence” dicono gli statistici. Se preferisci una citazione più estesa da un testo di statistica:
“A very low p-value indicates that the test statistic is unlikely to take the observed value under H0 and therefore provides good reason to reject it. On the contrary, a high p-value does not give proof that H0 is actually true.”
dove H0 rappresenta l’ipotesi nulla.
Per inciso, anche se in campo biomedico in genere si preferisce fissare una soglia, essa è arbitraria e può assumere qualsiasi valore. Più in generale, si può dare semplicemente la probabilità. Nel caso in esame è maggiore dell’80%.
Ma queste considerazioni puramente statistiche sono (chiedo perdono agli statistici) terribilmente noiose e abbastanza inconcludenti, oltre che spesso mal interpretate.
Ciccio
per favore evita il cross-posting di cose scritte da altri. Se dici il tuo pensiero possiamo discuterne, con un “fantasma” è complicato 🙂
@elica
“Se non posso rigettare l’ipotesi nulla (non c’è trend) vuol dire che allo stato dei fatti la mia tesi (c’è un trend) è falsificata (Popper docet).”
Certo, ma siccome non stiamo parlando di una serie di numeri qualsiasi, senza nessuna connessione fisica che possa spiegare le loro fluttuazioni interannuali, direi che occorre tener conto anche dei possibili errori del secondo tipo.
Il falso negativo, come suppongo lei sappia benissimo, è sempre dietro l’angolo e, come ha scritto Riccardo, nel contesto di riferimento di cui si sta parlando non permette ancora di inferire alcuna conclusione definitiva. L’assenza di evidenza non implica l’evidenza di un’assenza.
Certo, l’uso appropriato della statistica è uno dei migliori strumenti che abbiamo a disposizione per evitare gli errori del primo tipo, dai quali la scienza è ovviamente parecchio immune. Ma non preclude quelli del secondo. Soprattutto quando la finestra temporale a disposizione è troppo corta per poter stemperare le fluttuazioni nel tempo di una variabile (che hanno specifiche ragioni fisiche e che influenzano in maniera determinate il calcolo dei trend) e per poter lasciar emergere in maniera più robusta il trend di fondo.
@ciccio
lo studio di Otto et al. in versione estesa .
[…] molto spesso sulle nostre pagine. Non è mia intenzione tornare sull’argomento del post, chi volesse può approfondire personalmente, tuttavia, vorrei portare all’attenzione dei lettori la chiosa del […]
Andrebbe pure detto che nemmeno la replica di Gillet et al soddisfa tutti i criteri di Nature per la pubblicazione, e che secondo i referees, si limita a elencare i difetti di Mariani et al. e a spiegare quanto già pubblicato.
Gillet et al sono stati anche fin troppo gentili. Insomma, uno prende tre quattro indici e ci fa un modellino preso a sentimento e pretende di dimostrare qualcosa.
Pensare di vedere quella roba pubblicata su Nature Geoscience richiede un bel po’ di presunzione. Possibile che a Mariani e company non gli è venuto in mente che i dati che usavano avevano già dentro il segnale del forcing antropogenico? Loro magari non lo vogliono vederlo, ma se ti metti le fette di salame davanti agli occhi poi non lamentarti se ti dicono …do not adress .. wekaness .. ecc
Il secondo revisore non ha secondo me capito cosa ha letto, non si è neppure accorto- come invece il revisore 1-che hanno scritto di post-1979 ma… non hanno messo qualcosa per indicare l’anno dei dati (carino quel please clarify..).
Ma ci sta che su tre revisori uno abbia fatto una review da buttare succede sempre; per questo se ne fanno 3 o 4.
Ma dove si trova la lettera di Mariani e la riposta di Gillet ?
Non capisco, su Climate Monitor non vedo la corrispondenza che voi citate.
Ha ragione, è stata tolta dal sito di CM.
Penso sia un problema tecnico.
@Laura
Curiosa scomparsa, vero? Vediamo come verrà risolto il “problema tecnico”
@Stefano
“problema tecnico”
forse nel senso che è reato pubblicare la corrispondenza altrui senza autorizzazione e il ten. col. Guidi – dotato della completa “conoscenza del mondo” ecc. che a noi difetta – non se l’era procurata?
Nel frattempo lascerei la nota così com’è. Ho la copia del post originale, confermata dai commenti n. 18762 di agrimensore g e n. 18857 Donato. Le tue citazioni sono “fair use”, non un reato.
Allora:
1. Piuttosto che scrivere una nota e poi commentarvela con grandi pacche sulle spalle come Wolf di Pulp Fiction, bastava scrivere “ci siamo sbagliati, la storia è vera”, perché è il vostro dubbio, non il merito che ritengo come ho scritto assolutamente normale, l’unica ragione per cui l’ho pubblicata. Ma capisco che insinuare senza sapere renda poi difficile ammettere.
2. Stefano, era buona la prima, nel senso che il problema tecnico c’era davvero ed era comune ad altri post, semplice blocco di tutti i contenuti oltre il tag “more”.
3. Oca, com’era la storia del complottismo? (ps: non si affanni a rispondere, io non lo farò).
Caro Guido,
sono stupito del fatto che secondo te dovremmo scrivere “ci siamo sbagliati, la storia è vera”. Va be non capirsi sulla scienza del clima, qui mi sembra che si fraintenda la lingua italiana.
Se leggi il post, mi sembra chiaro – al di là di ogni ragionevole dubbio – che quello che ci faceva rimanere increduli, era il racconto presente nel testo di Vietti, che ti riporto:
< …Spedì a Nature il suo studio, che passò la revisione di “arbitri” terzi. Il direttore di Nature non pubblicò lo studio: “Il pubblico non potrebbe capire – spiegò a Mariani – E comunque la nostra linea è un’altra” >
Ora, in lingua italiana quanto sopra significa che non abbiamo scritto che mettevamo in dubbio che era stato mandato un commento a Nature, ma mettavamo in dubbio che:
1) aveva passato la revisione di terzi
2) il Direttore di Nature aveva deciso di non pubblicare lo studio perchè
2a) il pubblico non potrebbe capire
2b) comunque la nostra linea è un’altra”
Da quanto hai pubblicato (e ti ringrazio per questo) emerge:
1) il commento non aveva affatto passato la revisione di terzi. La risposta di Gillet et al lo demoliva, il primo revisore trovava delle debolezze e degli errori, il secondo revisore diceva di pubblicarlo, ma non diceva che davvero il commento aveva dimostrato quanto pretendeva.
2) con quelle tre risposte, era secondo me abbastanza ovvio che l’editore non facesse passare il commento. Non solo su Nature, secondo me non sarebbe stato pubblicato in tante altre riviste ISI anche meno autorevoli. Il motivo del respingimento è detto chiaramente: “we are unable to conclude that the comment successfully challenges the main conclusions of the Gillett et al. study”
2a) “we feel that these concerns will be of interest to a specialist audience only” non significa, affatto, che il pubblico non potrebbe capire, ma che l’unico punto valido del commento è troppo poco interessante per essere pubblicato su Nature, nel contesto di un commento con altre cose che non vanno.
2b) “We therefore feel that your comment is unsuitable for Nature Geoscience.” Non significa che la nostra linea è un’altra: quella di Nature è un’impostazione scientifica di una normale peer review.
Per concludere, non si tratta di insinuazioni: davanti a “Extraordinary claims” abbiamo chiesto “extraordinary evidence”, per dirla con Sagan. Quello che hai pubblicato a supporto è davvero poca cosa, conferma che avevamo ragione a ritenere quanto scritto da Vietti poco credibile: non lo è.
2) bene
3) giusto per sapere, ma ce l’hai l’autorizzazione a pubblicare la mail ?
Stefano,
sarà, ma a me è sembrato proprio che con quella chiosa si volesse insinuare il dubbio che la storia non avesse fondamento. Che invece ha e si presta a libera interpretazione. Comunque, l’esperto di pubblicazioni sei tu, se questa è la prassi del rapporto proposta-revisione-decisione, come ho scritto, ho soddisfatto la vostra curiosità, anche se trovo stucchevole continuare a parlarne. Per parte mia, penso che pubblicare tanto Mariani et al, quanto la risposta di Gillet et al, avrebbe segnato un punto per la conoscenza, qui pare siate convinti che il fatto che non sia accaduto abbia segnato un punto per i buoni. Ripeto quello che ci siamo detti già molte volte, così non si va da nessuna parte. Ma, del resto, io non vivo questo mondo, lo sfioro soltanto. Chi lo vive quotidianamente, come molti dei tuoi lettori, penso dovrebbe preoccuparsene, perché la ruota gira e, mi sbaglierò, ma temo stia proprio girando.
Circa la domanda finale, sono certo che qualcuno stia già indagando, perché togliergli il giocattolo?
gg
Stefano, con mio grande dispiacere, il giocattolo l’ho dovuto togliere comunque, pare che la policy di riservatezza di Nature impedisca di render note le informazioni inerenti tanto il referaggio quanto le decisioni. Accordi di riservatezza che comunque riguardano gli autori, non il sottoscritto, ma non credo faccia differenza.
Alla prossima,
gg
@S.Caserini
In merito alla nota del 31/05, riporto parte del post iniziale:
“ questo racconto sembra davvero poco credibile: prima di crederci vorremmo vedere lo studio “alternativo”, la peer review che ne raccomandava la pubblicazione e la lettera del direttore di Nature. “
1. Scrivere “vorremmo vedere lo studio “alternativo” “ lascia intendere molto chiaramente che chi scrive suppone lo studio sia irrilevante (o addirittura inesistente). Virgolettare l’aggettivo “alternativo” ha un’evidentissima accezione sarcastica. Invece lo studio è stato ritenuto da Nature abbastanza significativo da essere passato ai referee, i quali ne hanno consigliato la pubblicazione, e in ogni caso, pur sottolineandone i limiti, non lo hanno ritenuto irrilevante –> 1a supposizione errata (per come è scritta, più che “supposizione” forse sarebbe corretto chiamarla “insinuazione”)
2. Scrivere “(vorremmo vedere) …la peer review che ne raccomandava la pubblicazione” significa che chi scrive suppone che tale peer review non esiste o comunque non ne raccomanda la pubblicazione. Invece i due referee hanno, seppur con modalità e ottica diversa, consigliato la pubblicazione (Gillett ovviamente non può essere considerato arbitro terzo) –> 2a supposizione errata
3. Scrivere “(vorremmo vedere)… lettera del direttore di Nature” può, in effetti essere interpretato in vario modo, o che quella lettera non esiste, o che il contenuto è differente, o che non può averla scritta il direttore. Ma qui c’è un problema ancora maggiore. Lei, per credere al racconto, vorrebbe vedere pubblicata qualcosa che, come si scopre dopo, sa che assai difficilmente potrà essere pubblicata.
Non c’è nulla di disonorevole nell’ammettere di aver supposto qualcosa di errato, e poi proseguire nelle precisazioni…
@ Agrimensore @ Guido Guidi
Se volevo scrivere che mettevo in dubbio l’esistenza di quel commento inviato a Nature, semplicemente lo scrivevo. Ognuno può interpretare liberamente quello che vuole, ci mancherebbe, ma il contatto con la realtà dei fatti sarebbe utile: nel testo si scrive di un racconto che sembra davvero poco credibile, non che lo studio non esisteva. E il racconto è tutto quanto è stato raccontato.
Quindi se Lei o Guido ci leggete altre cose, è un problema vostro, nella lingua italiana quanto scritto significa solo che l’intero racconto era poco credibile. Come in effetti era.
@ Agrimensore
La invito a rimanere sulla sostanza della questione.
La tesi dell’articolo di Vietti è che mentre Gillet et al hanno attribuito il riscaldamento artico all’attività umana, il professor Mariani con alcuni colleghi, applicando un modello diverso, hanno ottenuto risultati molto diversi, il che sta a significare che – secondo Vietti – sono riusciti a dimostrare che il riscaldamento artico puo’ non essere attribuito all’attività umana. Il motivo per cui non ci sono riusciti è che scritto chiaramente nelle risposte ricevute (gli indici usati sono influenzati dalla variabilità stessa, così come dal forcing esterno dato dai gas climalteranti…).
La questione centrale è che Vietti chiaramente proponeva la tesi che esiste un’altra spiegazione alternativa ma le riviste si rifiutano di pubblicarla per motivi di “diversa linea” o “il pubblico non potrebbe capire”. Questa tesi è demolita dalla lettura della corrispondenza: non esiste una spiegazione alternativa, quella che c’era nel commento non è valida, è sbagliata.
Il punto – ovvio – per cui i sospetti su questa spiegazione “alternativa” (e l’uso delle virgolette non è ora e non voleva essere prima offensivo, ma solo per attirare l’attenzione sull’importanza di questo punto) erano più che fondati, è che se fosse valido il modello in grado di mostrare che il riscaldamento artico non può essere attribuito all’attività umana, e se la sua pubblicazione fosse bocciata stata ingiustamente, gli autori l’avrebbero pubblicato su un’altra rivista. Le assicuro che le riviste farebbero a gara per pubblicarlo.
Riguardo al passaggio “lei, per credere al racconto, vorrebbe vedere pubblicata qualcosa che, come si scopre dopo, sa che assai difficilmente potrà essere pubblicata” mi sembra che sta cercando un modo per trovare qualcosa che non va in un comportamento molto semplice, che è solo sano scetticismo.
Se Vietti domani mi racconta che Lei ha mandato a Science un modello che spiegava che la colpa del riscaldamento dell’antartico è dei pinguini e il Direttore di Science non l’ha pubblicato perché il pubblico non potrebbe capire, io le scriverò “vorrei vedere la corrispondenza” anche se so che difficilmente Lei pubblicherà qualcosa di valido a suo supporto.
Solitamente si dice che una notizia è vera finchè non viene smentita. In generale può anche essere vero ma in questo caso la ricostruzione di Vietti mi sembra così poco credibile che preferisco ragionare al contrario, finchè non viene confermata sono portato a credere che non sia vera.
I colleghi di certo sanno bene quanto sia alta l’asticella per pubblicare su Nature e la risposta dell’editor è nello standard di quanto ci si può aspettare. Dalle sue parole non vedo ragione di pensare ad una sorta di pregiudizio come dice Vietti.
Certo che se ci fosse un campionato mondiale di arrampicata sugli specchi, Guidi lo vincerebbe alla grande.
Legge male, o non capisce quello che legge, e gliene va a lui.
In questi casi si dice: scusate, avevo capito male. Invece dice… mi era sembrato … libera interpretazione e sul suo blog scrive come se le cose non gliele hanno spiegate.
Aho, se de coccio, si dice a Roma.
Comunque concordo con Caserini che se il loro modellino fatto di due moltiplicazioni era così potente, ci potevano fare un articolo vero. Invece meglio andare dire al giornalista negazionista di essere stati censurati dall’establishment, e poi far finta di non averlo detto … che spasso.
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@G. Guidi
“ci siamo sbagliati, la storia è vera”.
La storia è falsa. Nemmeno lei può credere che il direttore di Nature legga 90-100.000 articoli + reviews + commenti + repliche ogni anno, e scriva personalmente agli autori che le riviste del gruppo non pubblicano.
Il direttore non ha scritto nulla, l’ass. editor aveva ragione di non pubblicare Mariani et al. che infatti non è uscito da nessun altra parte, mentre con tre review positive sarebbe sicuramente successo. E la rivista non era Nature, nonostante il logo ingannevole che lei ha messo in cima al suo post .
Lei non può rispondere alla domanda di Stefano né a me. Sappiamo tutti perché, non serve né complottismo né indagine. Quella che lei chiama “policy di riservatezza di Nature” è la legge: è vietato pubblicare una corrispondenza privata senza l’autorizzazione di tutti gli interessati.
Grazie Steph, analisi davvero chiara e accurata
Ciao
Stefano
@Stefano Caserini
Vede, il punto è proprio quello che lei scrive alla fine della replica al mio commento:
“Se Vietti domani mi racconta che Lei ha mandato a Science un modello che spiegava che la colpa del riscaldamento dell’antartico è dei pinguini e il Direttore di Science non l’ha pubblicato perché il pubblico non potrebbe capire, io le scriverò “vorrei vedere la corrispondenza” anche se so che difficilmente Lei pubblicherà qualcosa di valido a suo supporto.”
E’ il paragone giusto: non l’avrà fatto volontariamente, ma quello che lei ha scritto a chiusura dell’articolo iniziale dà proprio l’impressione di aver considerato lo studio di Mariani alla stregua del lavoro di qualcuno senza conoscenze specifiche che ipotizza una corbelleria come la colpa dei pinguini nel riscaldamento dell’artico. Evidentemente non è così.
Altro sarebbe stato puntualizzare esclusivamente che lei non crede che il lavoro sia stato rigettato per motivi differenti dalla carenza di solidità scientifica.
@Steph
bella peer review!
@agrimensore g
Mi faccia capire. Secondo lei
1 – la storia di Phil Campbell che fa tutto lui – anche nelle riviste di cui non è nemmeno direttore – è vera
2 – i tre pareri giudicano valido il “modello diverso” di Mariani et al. perché dimostra l’invalidità del modello di Gillett et al, come si prefiggevano Mariani et al.
3 – il racconto di Vietti andava creduto a priori.
O no?
Lei scrive a Stefano: “vorrebbe vedere pubblicata qualcosa che, come si scopre dopo, sa che assai difficilmente potrà essere pubblicata.”
Al contrario, sappiamo tutti che è facilissimo: basta impegnarsi a rispettare le regole.
@ Agrimensore
Che vuole che le dica, per ogni cosa che scrivo Lei ha delle impressioni che la portano a delle conclusioni che le piacciono. Non ci posso fare niente.
Io nel post, nell’aggiunta al post e nel commenti ho proprio scritto che non è credibile che il lavoro sia stato rigettato per motivi differenti dalla carenza di solidità scientifica.
1.- Non so se il direttore abbia detto o scritto qualcosa, non credo (ma non posso escluderlo). Credo il racconto si riferisca a quanto scritto dall’editor, e, suppongo, sia stato erroneamente attribuito al direttore.
2.- I due pareri terzi hanno suggerito la pubblicazione. Invece, dall’ultima parte dell’articolo traspare un profondo scetticismo su questo punto, anche se mi pare si sostenga che “consigliare la pubblicazione” potrebbe non implicare l’aver “passato la revisione”. Ma a leggerci dentro, in quella richiesta di verifica di quanto scritto dai referree emerge l’aspettativa che il lavoro sia stato giudicato in maniera del tutto negativa.
3. A priori di che?
Comunque, le sue contestazioni sarebbero giustificate se la richiesta di verifica fosse stata solo sulla lettera del direttore. In tal caso, sarebbe stato chiaro che lo scetticismo era relativo all’affermazione più discutibile (“…E comunque la nostra linea è un’altra”) del racconto, e non ad altro.
Invece la richiesta si estende allo studio. Se rilegge un mio commento precedente, mi riferisco proprio a tale richiesta. E’ qui che l’articolo trasuda incredulità nel vedere il lavoro di Mariani degno di essere preso in seria considerazione, al di là di eventuali limiti. Al contrario, è stato preso in considerazione, al punto che i referee ne hanno consigliato la pubblicazione.
agrimensore g.
@S.Caserini
Avevo scritto il precedente post in risposta a oca s.
@agrimensore g
1. da un assistente o redattore, come sempre.
2. Consigliano la pubblicazione per motivi opposti. Buoni argomenti da entrambe le parti, dice uno, e l’altro dice che rassicurerà i lettori sulla robustezza delle conclusioni NON di Mariani, ma di Gillett. 1 pari, la decisione spetta all’assistente.
3. “A priori”. Eh sì. Lei crede tuttora al racconto di Vietti, Mariani e Guidi anche dopo aver constatato di persona che non è né Nature né il direttore; che la “linea” è pura illazione; che un referee contesta i risultati di Mariani et al. mentre l’altro nemmeno li prende in considerazione; e qual è in realtà la “linea” di ogni rivista seria
– strong evidence for its conclusions (nessuna, ma una key weakness)
– novel (no, la “key weakness” è tipica degli studenti – chieda a Steph!)
– extreme importance (nessuna o sarebbe uscita subito su un’altra rivista)
Questa “linea” è nota a tutti, da qui lo scetticismo sull’intero racconto e sulla qualità scientifica di Mariani et al. in particolare.
E’ pura illazione anche la sua accusa di malafede a Stefano sul “qualcosa che, come si scopre dopo, sa che assai difficilmente potrà essere pubblicata”. Da lei non me l’aspettavo.
@oca sapiens
“E’ pura illazione…”: sì, su questo ha ragione. Ho sbagliato a scrivere quella parte di commento. In effetti, non credo affatto che quando ha scritto il paragrafo finale dell’articolo, S.C. avesse in mente che ci sarebbero stati problemi di privacy. Semmai, avrei preferito che nel successivo dibattito avesse saputo resistere alla tentazione di inserire questo argomento (mi pare suggerito proprio da lei) assolutamente fuori tema.
E’ il mio quinto e ultimo commento alla nota.
@agrimensore g
Be’, le sono proprio grata.
Proprio perché legge sulla privacy va rispettata, il mio punto era che lo scambio si poteva riprodurre senza violarla e che Stefano non la violava. Davo l’informazione in modo impertinente, mea culpa.
(Ma la frase di G. Guidi sulla nostra ignoranza mentre dimostrava la propria era troppo buffa e non ho resistito!)
La sua oca pestifera.
[…] * una bella analisi scientifica della storia la trovate su Climalteranti […]
[…] Sartori avrà basato la sua opinione sbagliata sugli articoli di altri quotidiani (ad esempio questi), perché le spiegazioni fornite sulle ragioni di questa presunta “buona notizia” aggiungono […]
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