Il pressing del G7 per l’accordo per il clima
Il comunicato conclusivo dei lavori del G7 di Schloss Elmau del 7-8 giugno, ha ribadito la necessità di un accordo in materia di cambiamenti climatici. Ma ci sono vere novità ?
Aumento temperature: il limite “+2°C” non è una novità.
Grande enfasi ha avuto sui media l’impegno, contenuto nel comunicato del G7, a limitare l’aumento massimo delle temperature a +2°C (rispetto al livelli medi delle temperature nel periodo pre-industriale): “Forte determinazione ad adottare un protocollo (o altro strumento con forza legale) nell’ambito della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, che sia ambizioso, solido, inclusivo e rifletta l’evoluzione delle circostanze nazionali, e che sia infine consistente con l’obiettivo globale di mantenere l’aumento di temperatura al di sotto dei 2°C”.
Questo impegno in realtà è da anni alla base del negoziato internazionale sul clima, ed era presente già nel G8 del 2009 a L’Aquila, nel cui comunicato finale si scriveva “I Leader di tutti i principali paesi emettitori hanno reiterato l’importanza di mantenere l’incremento della temperatura media globale entro 2 gradi Celsius, come riconosciuto dal G8, e hanno deciso di lavorare insieme, nei prossimi mesi fino alla Conferenza di Copenhagen, per identificare un obiettivo globale di riduzione significativa delle emissioni di lungo termine al 2050”.
Inoltre, non è neanche un obiettivo particolarmente ambizioso: 2°C corrisponde infatti a un “compromesso” politico in quanto le evidenze scientifiche mostrano come anche per temperature inferiori ci sono impatti significativi.
Nell’accordo di Copenaghen era inoltre stato inserito, su richiesta dei paesi più poveri e vulnerabili al cambiamento climatico, la possibilità di valutare un limite massimo delle temperature a +1.5°C.
Nell’importante documento “Report On The Structured Expert Dialogue On The 2013–2015 Review”, approvato dall’UNFCCC nella sessione di Bonn, i 70 esperti che hanno partecipato al confronto sui possibili obiettivi della Convenzione sul Clima hanno infatti enfatizzato “l’alta probabilità di differenze significative fra lo scenario a +1.5°C e quello a +2°C, specialmente per quanto riguarda l’acidificazione degli oceani, gli eventi estremi ed il raggiungimento dei tipping point”. Utilizzando il concetto di “unità di rischio” (una unità consiste nel passaggio da una fascia di rischio ad una contigua, ad esempio, da very low a low, o da medium a medium-high), l’IPCC ha indicato come per ogni fattore di rischio “chiave” vi sia una differenza media di 0,5 unità fra i due scenari.
In sintesi, quel mezzo grado in più, può fare la differenza, aumenta la probabilità di tutti i tipi di impatti.
De-carbonizzazione economica: un segnale forte e concreto.
I leader hanno mandato un messaggio chiaro che il mondo si sta (seppur troppo lentamente) spostando dalle fonti fossili verso le energie rinnovabili, concordando sulla “necessità di ridurre in maniera profonda le emissioni globali di gas serra per una de-carbonizzazione dell’economia globale nel corso di questo secolo”, con l’impegno verso “l’eliminazione dei sussidi inefficienti alle fonti fossili” e “un’azione globale per ridurre le emissioni del 40-70% entro il 2050 rispetto al 2010.”
L’intenzione, dunque, è quella di archiviare l’era dei combustibili fossili assieme al XXI secolo.
Ed è questo forse il risultato più significativo del vertice, che ha anche indicato un target di massima per il 2050, sebbene non sia andato nello specifico di ciò che riguarda gli obiettivi a breve termine (il “pre-2020”).
Accordo o impegni vincolanti?
I leader del G7 hanno evidenziato come l’accordo di Parigi richieda “regole di base vincolanti” ed un incremento progressivo dei livelli di ambizione. Sebbene i negoziati dell’UNFCCC non abbiano ancora definito quelli che saranno i periodi d’impegno del nuovo accordo, alcuni Paesi e numerosi rappresentanti della società civile chiedono a gran voce la disposizione di cicli di 5 anni, dopo i quali revisionare, e possibilmente adeguare, gli obiettivi, sulla base dei progressi compiuti e delle nuove indicazioni fornite dalla scienza.
Relativamente al valore legale degli impegni, è importante fare chiarezza su quello che è un fraintendimento comune: l’istituzione di un accordo “legalmente vincolante”, in sé, significa semplicemente definire un accordo fra le varie Parti che sia regolamentato da norme internazionali. Tuttavia, ciò non implica che gli impegni associati all’accordo siano vincolanti, né che vi sia un meccanismo o un “corpo” in grado di farne rispettare l’attuazione. Per questo, serviranno definizioni specifiche, l’istituzione di un meccanismo di compliance e capire come e dove avverrà l’abbinamento dei contributi nazionali volontari (INDCs) all’accordo, che in ogni caso si manifesterà come un pacchetto di due (o più) strumenti con diverso valore legale: un “Agreement” (o “Protocol”, o altro) in cui saranno contenuti gli elementi fondamentali e generali, che varranno per tutta la durata della nuova piattaforma; ed una “COP decision” in cui si inseriranno le definizioni più specifiche, e che potranno essere aggiornate su scala annuale.
Misure finanziarie
La Dichiarazione riafferma “l’impegno a mobilitare, congiuntamente, 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020 da un’ampia varietà di risorse, sia pubbliche che private, nel contesto di azioni di mitigazione significative di trasparenza delle azioni nell’implementazione”, così come l’intenzione di rendere il Green Climate Fund (GCF) completamente operativo entro la fine dell’anno.
Proprio negli ultimi mesi, il GCF ha finalmente visto un’accelerazione nei contributi, che hanno portato la capitalizzazione a superare i 10 miliardi di dollari: un risultato positivo, sebbene ancora lontano dall’obiettivo finale; ed è su questo punto che il comunicato del G7 è stato carente, ovvero nell’illustrare una strategia credibile su come intendano raggiungere il finanziamento complessivo di 100 miliardi entro il 2020.
Segnali positivi sono comunque giunti dalla decisione di intensificare il supporto economico soprattutto ai Paesi più vulnerabili, finalizzato a sostenere le proprie azioni nazionali per gestire il rischio ed aumentare la resilienza rispetto ai cambiamenti climatici. Ciò dovrebbe avvenire “incrementando fino a 400 milioni il numero di persone che, nei paesi in via di sviluppo più vulnerabili, possano avere accesso, diretto o indiretto, a coperture assicurative contro gli impatti negativi legati ai cambiamenti climatici entro il 2020”, e “supportando lo sviluppo di sistemi di allerta nei paesi più vulnerabili”.
Considerazioni finali
Quanto concordato in sede di G7 è tutto sommato positivo: la Cancelliera Angela Merkel ha voluto fortemente portare i Paesi ad una dichiarazione significativa sul clima, certamente supportata dalla Francia che ospiterà la prossima Conferenza delle Parti a Parigi e che ha ogni interesse affinché il processo negoziale porti ad un buon risultato. Hanno certamente avuto un’influenza sui contenuti, specialmente per il pre-2020, le posizioni meno progressiste di Canada e Giappone, che anche nei rispettivi contributi nazionali annunciati (l’INDC del Giappone è prossimo alla pubblicazione) hanno mostrato un livello di ambizione inferiore. In ogni caso, sarà importante verificare che quanto i paesi del G7 hanno ieri dichiarato si tramuti presto in impegni concreti alla COP21, in vista della quale è attualmente in corso a Bonn un negoziato intermedio che, al momento, sta procedendo abbastanza a rilento.
Testo di Federico Brocchieri, Italian Climate Network
5 responses so far
Potremmo fare una nuova scala dei cambiamenti climatici attraverso di comunicati stampa, forse i politici la capirebbero meglio della scala Celsius…
G8 2009 reiterato l’importanza di mantenere
G7 2015 forte determinazione ad adottare
[…] Una valutazione degli accordi presi al G7 potete leggerlo su climalteranti.it […]
Ciao,
menzionati su repubblica.it
http://www.repubblica.it/ambiente/2015/06/15/news/il_2015_sara_l_anno_del_nin_o_portera_alluvioni_e_caldo_record-116922767/?ref=HREC1-5
complimenti!!
vorrei un commento su quanto detto dall’articolo,
col nino mi devrei preoccupare, rischio caldo killer,per i miei “vecchi”?
ppp
grazie, per noi è un buon segnale sulla utilità del lavoro che facciamo, “metterci nel mezzo” fra l’informazione scientifica specialistica da un lato e l’informazione per un pubblico più vasto dall’altro.
Sull’articolo, ben fatto, mi è saltata all’occhio l’inesattezza delle reti da pesca piene in Cile e Perù durante gli eventi el nino. Piuttosto le acque diventano più povere, è la risalita delle acque fredde a portare nutrienti in superficie e favorire la pesca. Ma più che altro si ha un cambiamento delle popolazioni di pesci, con l’aumento delle specie che prosperano in acque calde e la riduzione di quelle da acque fredde.
ppp,
domanda difficile, ma qui il Nino non arriva.
—
Riccardo,
forse dovresti scrivere qualcosa sull’oscillazione sardine/acciughe