Un altro passo in avanti verso l’accordo di Parigi
La sessione del negoziato UNFCCC che si è svolta a Bonn da 19 al 23 ottobre è stato un altro momento importante per la costruzione del nuovo accordo di Parigi. Seppur meno note delle COP, è in queste sessioni intermedie che si affrontano i punti critici del negoziato, ed è evidente che le decisioni prese a meno di 40 giorni dall’inizio della COP sono fondamentali.
Come già spiegato in altre occasioni, cosa è successo a Bonn si può desumere dai precisi riassunti dell’IISD, nonché dalle newsletter ECO e in altri articoli disponibili sul web (i giornali italiani non se ne occupano). Su twitter l’hashtag #ADP2 (ADP sta per Ad Hoc Working Group on the Durban Platform for Enhanced Action, è il tavolo negoziale avviato con la COP17 di Durban) è lo strumento per seguire il negoziato e recuperare le impressioni di addetti ai lavori ed osservatori.
Il risultato principale della sessione negoziale di Bonn è una nuova bozza dell’accordo, disponibile sul sito dell’UNFCCC qui. Analizzando il documento finale, di 51 pagine, si evidenzia come questo negoziato intermedio abbia fatto effettivamente registrare progressi positivi, con il reinserimento nel testo di numerosi aspetti e principi che al contrario lo scarno “non-paper”, rilasciato ad inizio ottobre dai Co-chair come base per le discussioni a Bonn, aveva pericolosamente omesso o ridimensionato.
In particolare, mentre questioni quali finanza e loss and damage necessitano ancora di sostanziali integrazioni, si sono visti miglioramenti – seppur non adeguatamente bilanciati – nelle sezioni relative a mitigazione, adattamento e trasparenza delle azioni. Importante, inoltre, il reinserimento di un corposo paragrafo relativo ai diritti umani e ad altri principi (equità intergenerazionale, diritti delle comunità indigene, parità di genere e necessità di migranti e gruppi/popolazioni in condizioni vulnerabili), precedentemente rimosso ed ora presente al nel preambolo del Draft Agreement (Pp10) grazie ad una fortissima pressione da parte di tutte le componenti della società civile che hanno lavorato in maniera congiunta:
Emphasizing the importance of respecting and taking into account [, subject to jurisdiction] [right to development,] human rights [including people under occupation], gender equality [and women’s empowerment], [the rights of indigenous peoples,][local communities,] intergenerational equity concerns, and the needs of [migrants] [particularly vulnerable groups] [people in vulnerable situations], [including people under [foreign] occupation,] women, children and persons with disabilities, when taking action to address climate change.
Come nell’esempio qui riportato, esistono ancora in tutto il testo numerose opzioni alternative da risolvere, esplicitate da più di 1500 frasi in parentesi, relative a punti su cui non si è ancora trovato un accordo; molte di queste sono aspetti formali, modi di esprimere delle decisioni già delineate a livello di massima, altre sono relativi a questioni sostanziali su cui sarà necessario raggiungere un compromesso.
Nel comunicato UNFCCC si legge che secondo la Segretaria esecutiva dell’UNFCCC (Christiane Figueres) il testo è “bilanciato e completo” e ha incluso altre opzioni richieste dai vari Paesi; secondo Laurence Tubiana, Ambasciatrice del governo francese per la COP21, il testo è una buona base di partenza per il negoziato di Parigi. Secondo altri osservatori (vedi ad esempio qui), la sessione di Bonn non ha risolto molti dei punti critici, e si è deciso di rinviare alla COP21 di Parigi la loro risoluzione. Ciò viene visto come un atteggiamento molto rischioso perché i soli 12 giorni disponibili potrebbero non essere sufficienti e determinare dunque un esito negativo del negoziato, con un accordo al ribasso che semplicemente metterebbe da parte molte questioni spinose.
C’è chi ritiene che il motivo per cui molte questioni sono state lasciate aperte è strategico, è una volontà delle delegazioni dei Paesi più sviluppati, che in un negoziato serrato condotto a livello delle delegazioni ministeriali pensano di ottenere più risultati, in quanto la leadership politica dei Paesi in via di sviluppo sarebbe meno preparata.
Un esempio delle opzioni ancora aperte è già all’articolo 1, comma a:
“In order to strengthen and support the global response to the urgent threat of climate change, Parties [shall][agree to] to take urgent action and enhance [cooperation][support] so as to:
a. hold the increase in the global average temperature [below 2 °C][below 1.5 °C][well below 2°C][below 2 °C or 1.5 °C] [below 1.5 °C or 2 °C][as far below 2°C as possible] above pre-industrial levels by ensuring deep cuts in global greenhouse gas [net] emissions.”
In altre parole, non c’è accordo su cosa scrivere come obiettivo di lungo termine del negoziato. Un punto importante, ma che non ha dirette conseguenze sugli impegni a breve termine, e che potrebbe essere senza problemi affrontato in futuro.
Molto lavoro rimane quindi da fare a Parigi, e in questo senso va letto l’interessante tweet di Jamie Henn (uno dei fondatori di 350.org) “On the last day of climate negotiations in Bonn we’re all feeling [tired][frustrated][confused][hopeful][ready for a kölsch]”
Nonostante la fatica del tavolo negoziale, rimane una generale sensazione di ottimismo per un accordo a Parigi, ottimismo che è stato evidente nel dibattito che si è volto Sabato 17 ottobre, presso l’esposizione Universale di Milano, dal titolo “COP21 Climate Summit: 100m sprint or starting gun for the marathon?, e che ha avuto come relatori Nicholas Stern (l’autore della famosa “Stern Review”), Janos Pasztor (Assistente sul Cambiamento climatico del Secretario Generale dell’ONU), Caio Koch-Weser, (Chair del European Climate Foundation and Vice-Chair di Deutsche Bank) e Francesco La Camera (Direttore Generale, del Ministero dell’Ambiente italiano).
Nel suo breve intervento, Janos Pasztor ha affermato che “le stelle hanno iniziato ad allinearsi nel modo giusto”. Le ragioni per cui secondo Pasztor un accordo a Parigi è molto probabile sono
- C’è la sensazione che i governi davvero vogliono arrivare ad un accordo.
- I 150 INDC coprono il 96% delle emissioni, c’è un coinvolgimento davvero globale, seppur differenziato.
- Il settore privato non è mai stato così coinvolto nell’accordo, c’è stato uno “spostamento tettonico”
- La Cina è passata da essere uno spettatore passivo ad un player attivo: c’è una grande differenza rispetto a 5 anni fa.
- Il mondo della finanza, pubblico e privato, si è accorto del problema del cambiamento climatico e ha iniziato a muoversi.
- C’è un chiaro coinvolgimento degli Stati Uniti
La conclusione di Janos Pasztor, condivisa da tutti i relatori, è che Parigi non sarà la fine del negoziato sul clima, ma l’inizio di un nuovo approccio: “c’è vita oltre Parigi”.
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Testo di Stefano Caserini e Federico Brocchieri, con contributi di Federico Antognazza.
10 responses so far
Ottimo pezzo!
Complimenti per la sintesi e la chiarezza dell’articolo. Quali sono state le posizioni espresse dal rappresentante del Ministero dell’Ambiente italiano presente tra i relatori all’incontro menzionato del 17/10 a Milano? L’Italia sta svolgendo un ruolo attivo nei negoziati che porteranno alla COP21?
Pure se ateo e fervente detestatore di ogni forma di religione mi trovo a suggerire che ai cinque motivi di ragionevole ottimismo elencati alla fine del post si potrebbe aggiungere l’enciclica “Laudato sì”.
Vantaggi dell’anonimato 🙂
@ Antonio
Non è facile riassumere l’intervento di Francesco La Camera, ha parlato per più di 15 minuti. La mia impressione è che l’Italia seguirà la posizione europea, senza deviazioni.
Nel dibattito si è parlato (mi sembra sia stata un’affermazione di Pasztor, condivisa anche da La Camera), che l’Europa e quindi anche l’Italia potrebbero fare di più rispetto a quanto proposto nell’INDC europeo.
Io non so cosa abbia suscitato in voi la visione della serie degli INDC che gentilmente Valentino Piana ha caricato sul web. A me ha provocato un attacco di depressione misto a rabbia per le considerazioni che riporto qua sotto.
Ma voi davvero pensate che avendo compilato (o probabilmente fatto compilare a pagamento da qualche agenzia specializzata) il questionario dell’UNFCC, Paesi come (tanto per fare un esempio) l’Eritrea o la Repubblica CentroAfricana possano contribuire (anche se simbolicamente) a risolvere il problema del GW? A nessuno viene il dubbio che il solo fatto di compilare, commissionare, distribuire tonnellate di documenti, presenziare alla COP21 etc. rappresenterà di per sé un impatto maggiore delle proposte di riduzione rappresentate da quasi tutti i Paesi del Terzo Mondo?
Ritorniamo indietro al Protocollo di Kyoto: qualcuno sa darmi una valutazione quantitativa del suo impatto sulla tendenza alla risoluzione del problema dei GHG dell’atmosfera terrestre?
La questione mi fa tornare in mente quanto avvenne nel 1987 con il Protocollo di Montreal. In fin dei conti il problema non era molto diverso da quello attuale. Nel caso di Montreal si affrontò il problema della riduzione dell’Ozono stratosferico dovuto alla immissione in atmosfera dei CFC e simili. Detto Protocollo non esitò a stabilire scadenze precise per la produzione dei CFC a livello mondiale con date intermedie e messa al bando totale al 2030. Ricordo ancora le lamentele di ingegneri della Montedison in commissione all’ISS di Roma che obbiettavano sulla validità della scoperta di Rowland e Molina (poi premiati con il Nobel assieme a Crutzen.)
Il risultato fu che furono individuati dei sostituti del Freon & Company senza tanti problemi e l’attuale situazione del buco dell’Ozono antartico, pur non essendo sparito, appare in via di lenta riduzione.
E allora perché non seguire una strada come quella dell’Ozono anziché aspettare che tutti i Paesi del Mondo preparino il loro compitino in classe? E ovvio che i Paesi che contano per la soluzione del problema sono quelli maggiormente industrializzati e grandi emettitori (USA, Cina, Europa, Australia in primis) e quelli che maggiormente assorbono la CO2: il Brasile con la foresta amazzonica, la Rep. Popolare del Congo etc.
Non avrebbe maggior senso se tutti i Paesi industrializzati si impegnassero a spegnere ( non diminuire…del xy percento) tutte le centrali e impianti che usano combustibili fossili ad es. entro il 2030? E che i Paesi che hanno i maggiori sink come quelli indicati sopra si impegnassero a conservare la superficie forestale integralmente?
Poi facessero quello che vogliono se preferire le energie eoliche, solari, marine, nucleare etc. L’importante è che si veda un trend nella concentrazione dei GHG. Spero che la COP di Parigi in futuro non sia ricordata come Copenhagen2 ( ma ci credo poco).
Luigi Ciattaglia
Vede Luigi Ciattaglia, quando Lei scrive “E allora perché non seguire una strada come quella dell’Ozono anziché aspettare che tutti i Paesi del Mondo preparino il loro compitino in classe? ” deve tener conto che cona la CO2 è moooolto più difficile, le sostanze che bucavano l’zono erano prodotte da lavorazioni industriali secondarie; qui c’è in ballo l’intero sistema energetico più le attività forestali e il cibo; non è lo stesso, e non deve sorprendere se non si mettono d’accordo. Saluti
E’ vero che il problema del GW comporta interventi che riguardano la produzione dell’energia, agricoltura etc ma se si fosse trascurato di produrre il bando dei CFCs il danno della sparizione dell’Ozono stratosferico non sarebbe stato uno scherzo per il genere umano…..
Si alza il livello della posta:
SI LA COP21 ÉCHOUE, “LA PLANÈTE DEVIENDRA INVIVABLE”
Le ministre des Affaires étrangères Laurent Fabius a annoncé que la planète deviendrait «invivable» si la conférence sur le climat à Paris ne déboucherait pas sur un accord ambitieux.
Questa interpretazione da “ultima spiaggia” mi sembra eccessiva, il pianeta resterà comunque abitabile ancora per parecchio. Piuttosto sono i costi, economici e non, in ballo, meglio sbrigarsi.
Il pianeta era e sarà abitabile anche prima e dopo la comparsa della specie umana.
Sono gli effetti di un mancato accordo (o anche di una lenta ed insufficiente applicazione dell’ eventuale accordo raggiunto) che avranno conseguenze costose sul futuro del pianeta ed anche su di noi abitatori “intelligenti”.