Perché votare SÌ al referendum del 17 aprile
L’Accordo di Parigi si basa su un incremento sistematico dell’ambizione nella riduzione delle emissioni. In questo contesto, porre limiti allo sfruttamento di gas e petrolio in Adriatico diventa un modo per iniziare ad implementarlo. Climalteranti suggerisce di votare Sì al referendum del 17 aprile, per segnalare chiaramente l’urgenza di rottamare il modello energetico basato sui combustibili fossili. Una scelta strategica per una nazione come l’Italia, ricca di sole e di mare, con un turismo da salvaguardare e promuovere.
Abbiamo già raccontato in passato come molti scienziati, dopo aver individuato le cause dei cambiamenti climatici (principalmente le emissioni da fonti energetiche fossili e la deforestazione), dopo aver previsto le mutazioni del sistema climatico, dopo aver mostrato le possibilità di opzioni alternative ed averle discusse, sentono di non fare abbastanza per il clima.
Abbiamo visto gli allarmi degli scienziati trattati con sufficienza ed accantonati dal dibattito politico, intriso di attendismi e disinteresse. “Non sono uno scienziato, ma non credo che ci sia un problema climatico”, “il clima è sempre cambiato/ gli scienziati non sono del tutto sicuri”, sono ritornelli sentiti ormai troppo.
Ora il voto referendario sulle concessioni petrolifere entro le 12 miglia dalla costa pone una scelta secca, che riguarda anche le politiche climatiche ed energetiche dei prossimi anni.
Qui sotto sono riportate le ragioni per cui il Comitato Scientifico di Climalteranti ritiene che sia necessario votare Sì.
1. La scienza chiede azioni urgenti e radicali per ridurre le emissioni
Il Quinto rapporto dell’IPCC ha mostrato come, se si vuole limitare l’incremento di temperatura, è necessario ridurre drasticamente le emissioni di gas serra. Si sta chiudendo la finestra temporale di opportunità nella quale possiamo contenere l’aumento delle temperature medie entro i 2°C. Il Sommario per i decisori politici del Quinto Rapporto termina mostrando i percorsi divergenti, le scelte dicotomiche che a breve siamo tutti chiamati a prendere; la prima, l’Accordo di Parigi, è già stata fatta (con un invito a imboccare un preciso percorso di riduzione delle emissioni – art. 4).
2. La produzione di energia è la fonte principale delle emissioni di gas climalteranti, a meno che non si basi su energie rinnovabili
Le statistiche mostrano che ogni volta che petrolio, carbone e gas naturale dominano nella composizione del mix energetico, le emissioni pro-capite sono elevate. In ogni Stato il settore energetico deve compiere una radicale transizione verso le rinnovabili. L’Europa prevede già la decarbonizzazione di questo settore entro il 2050, un impegno senza precedenti e dalla portata rivoluzionaria. Se si vuole raggiungere questo obiettivo, non è più possibile tentennare o prendere tempo.
Il referendum spezza il silenzio assordante nel quale il nostro Paese ha smantellato il sistema di incentivazione alle rinnovabili, che aveva portato grandi successi e 100.000 posti di lavoro, drasticamente ridotti dalle successive scelte governative. E lo fa con un ostacolo peraltro molto blando allo sviluppo delle fonti fossili: con il Sì si vuole impedire ai titolari di concessione per produzione e per ricerca entro le 12 miglia di operare anche oltre la scadenza della concessione.
3. Le riserve di carbone e petrolio devono rimanere in larga misura sotto terra se si vuole che le concentrazioni in atmosfera non superino soglie incompatibili con gli obiettivi di incremento massimo della temperatura media globale
Se una gran parte delle riserve fossili conosciute deve rimanere sotto terra (più di 4/5 delle riserve di carbone, più di metà di quelle di gas e più di un terzo di quelle petrolio), è necessario iniziare da subito lo smantellamento del sistema dei combustibili fossili; con il Sì al referendum si impediscono nuove attività di prospezione e ricerca, e il rinnovo sine die di concessioni già ampiamente sfruttate.
4. L’Accordo di Parigi obbliga ad aumentare il livello di ambizione nelle politiche climatiche ed energetiche
Con l’Accordo di Parigi (qui la traduzione italiana con commenti), sottoscritto da praticamente tutti i governi del mondo (e a breve ratificato da Stati Uniti e Cina, India e Europa), si sono posti degli obiettivi molto ambiziosi alle politiche climatiche ed energetiche “mantenere l’incremento della temperatura media mondiale ben sotto i 2 gradi rispetto ai livelli pre-industriali e fare sforzi per limitare l’incremento della temperatura a 1,5 °C”. Questi obiettivi obbligheranno gli Stati a rivedere al rialzo i loro impegni di riduzione delle emissioni, ogni qual volta ne abbiano l’opportunità. Ad esempio anche gli attuali impegni dell’Unione Europea, inclusa la riduzione delle emissioni del 40% entro il 2030, sono insufficienti e dovranno essere aumentati.
Quindi l’Italia deve fare di più, perché non ha ancora definito una politica energetica in linea con gli obiettivi sottoscritti a Parigi, e dovrà rivedere al rialzo le sue promesse settore per settore. L’attuale Strategia Energetica Nazionale non è compatibile con lo scenario post-COP21.
5. L’estensione senza termine delle concessioni è un sussidio alle fonti fossili
I sussidi alle fonti fossili sono da tempo nell’occhio del ciclone, criticati dall’OCSE, dal G20 e dal G8 come una parte da eliminare subito. Durante un side-event alla COP21 sono stati stimati come circa 4 volte maggiori dei sussidi alle rinnovabili, senza contare i decenni passati. Quindi il SÌ inizia a cancellare parti dei sussidi che andrebbero in ogni caso eliminati per evitare una distorsione della concorrenza tra fonti di energia a svantaggio di quelle che producono i minori impatti ambientali. Obbligando ad esempio i detentori di concessioni a smantellare le piattaforme alla fine delle concessioni, non lasciandole operative anche se non funzionanti o con utilizzi molto limitati.
6. Nessun atto individuale può fare la differenza, ma questo non è una scusa per non ridurre qui e subito produzione e consumi di combustibili fossili
Con l’Accordo di Parigi si è riconosciuto che tutti i Paesi e tutti i settori devono fare la propria parte. Non si possono nascondere dietro un dito puntato su altri Paesi ed altri settori. “Tocca a lui per primo e io nel frattempo non faccio niente” è un argomento superato: tutti devono agire. Indipendentemente dall’effetto misurabile, ma proprio per non offrire alibi agli altri.
Le concessioni senza termine consentono di estrarre fino all’ultimo risorse che andranno ad incrementare la concentrazione dei gas climalteranti. Il SÌ – che ne impedisce il rinnovo e quindi lascia sotto il mare quel che resterà alla data di scadenza delle concessioni attuali e di eventuali limitate proroghe possibili – mette appunto un “limite” prima dell’esaurimento totale. Ha quindi un forte valore simbolico (ed un effetto pratico molto superiore ad azioni personali che ciascuno di noi invece compie ogni giorno – rinunciando ad un tragitto in auto, abbassando il riscaldamento in casa, ecc.); rappresenta un chiaro indirizzo politico e strategico nella giusta direzione.
7. Quantità piccole
La quota di consumi di gas e petrolio coperta dalla ventina di centri estrattivi attivi compresi nell’arco delle 12 miglia e che chiuderebbero nell’arco di 10 anni da oggi, man mano che terminano le concessioni e fatte salve alcune proroghe limitate che sarebbero comunque possibili, è fra l’1 e il 2% dei consumi energetici totali del paese; si tratta quindi di una quota molto piccola e per di più diluita in 10 anni da oggi (dati MISE elaborati da Aspo Italia).
8. Qualità scarse e costi alti
Il materiale estratto è sia qualitativamente (il petrolio italiano è ricco di zolfo) che quantitativamente (il costo di estrazione è alto superiore ai prezzi correnti e l’EROEI relativo – cioè il rapporto fra energia ottenuta e energia spesa per produrla – è basso) poco attraente come fonte energetica, per cui conviene estrarlo solo a chi paga royalties basse (fra il 7 e il 10%, il regime di royalty italiano è estremamente favorevole a chi estrae). Spesso conviene tenere bassa la produzione, per non pagare nulla o quasi sfruttando i dettagli delle regole delle concessioni, che prevedono condizioni di franchigia di 80 milioni di metri cubi iniziali, cioè più di un anno di produzione gratis, e nessuna royalty sotto certi livelli produttivi (dati da Il paese degli elefanti, di Luca Pardi, ed. Luce 2 edizione).
9. Il sistema fossile è inevitabilmente destinato ad arrivare al capolinea: il referendum permette di affrontare seriamente il problema
Il referendum riguarda 26 concessioni, alcune delle quali prevedono possibilità di potenziamento senza necessità di aprire una nuova concessione (cosa già vietata entro le 12 miglia marittime). La vittoria del Sì limiterà nuove perforazioni, ma non potrà impedirle del tutto, perché in alcuni casi (come “Rospo di Mare” o “Vega A”) queste sono già previste all’interno delle concessioni esistenti. Con il ritorno in vigore della normativa precedente (art. 9 comma 8 legge 9 del 1991), sarà possibile avere proroghe di una concessione alla sua scadenza; le proroghe tuttavia dovrebbero avere carattere eccezionale.
Il problema della perdita di posti di lavoro è limitato, e va considerato che ci sarà lavoro per smantellare le piattaforme diventate inutili (molte sono già ferme da tempo e non vengono smantellate) e sarebbe possibile definire un programma di riconversione dei posti di ingegneri e tecnici, investendo nei settori di produzione energetica rinnovabile, che offrono più posti e potenziale produttivo.
Il Comitato Scientifico di Climalteranti
18 responses so far
un paio di link per approfondire l’argomento:
http://www.glistatigenerali.com/energia-economia-reale/breve-enciclopedia-sul-referendum-e-tre-buone-ragioni-per-votare-si/
https://t.co/1PAe1unRms
Quanto più volentieri andrei a votare ad un referendum (consultivo) che dicesse basta agli acquisti di petrolio dalle petromonarchie! Lo sappiamo dove vanno a finire i soldi che avanzano agli sceicchi…
[…] sono sostanzialmente quelle già espresse nei post e prese di posizione di ASPO Italia e del blog Climalteranti, entrambe ben documentate da ragioni scientifiche più che […]
@ Emanuele
concordo con te… però ora abbiamo questo referendum, e può servire per dare un segnale in quella direzione. ciao
Qua qualche amico del giaguaro presenta delle opinioni diverse
http://cattaneo-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/03/12/le-trivelle-la-megattera-e-perche-il-referendum-no-triv-riguarda-anche-il-mozambico/
Non sono del tutto ineccepibili ma mi paiono più aderenti al tema dell’ opzione pratica che il quesito propone ed anche meno utopistiche delle 9 ragioni riportate le quali valgono poco (a parte la 7 che più che altro evidenzia la limitatezza degli effetti del referendum in ogni caso) se chi le sposa non fornisce una spiegazione razionale e pratica (ossia senza “è un segnale”, “può innescare un circolo virtuoso” etc) del perché l’ effetto di una vittoria del sì dovrebbe essere A invece che B.
Dove
A = un’ accelerazione seppur minima della riduzione delle emissioni idi CO2 in atto in Italia da diversi anni
B = un impatto neutro sulle nostre emissioni o, al limite, una delocalizzazione di una modesta quota parte delle stesse.
è difficile non essere d’accordo con le efficaci argomentazioni di Cattaneo, come del resto quelle qui esposte.
Diciamocelo senza ipocrisie: il misero quesitino di questo referendum non si presta a grandi entusiasmi. Sarebbe bello sì se:
“Il referendum spezza(SSE) il silenzio assordante nel quale il nostro Paese ha smantellato il sistema di incentivazione alle rinnovabili, che aveva portato grandi successi e 100.000 posti di lavoro, drasticamente ridotti dalle successive scelte governative.”
Sta succedendo questo? Domanda non retorica: a me non sembra, almeno leggendo i giornali, forse in Tv?, ma non la guardo.
Purtroppo al fondo di tutto (ma non mi pare che questo riguardi il Cattaneo, che offre una provocazione molto intelligente) resta la difficoltà di comunicare la drammaticità, la gravità e l’urgenza del problema cambiamento climatico. Un mio modesto sondaggio personale nel piccolo giro delle mie frequentazioni continua a dirmi che siamo molto lontani da questo obiettivo, e perfino tra persone istruite, e aggiungo, a volte perfino in individui vicini all’ambientalismo.
@cattaneo
“comprati una macchina ibrida, come ho fatto io, e butta quel ferrovecchio di diesel. Costa? È un sacrificio. Fallo per l’ambiente.”
Quindi “voti coi dollari”, ma chi ha più dollari conta di meno di uno che ne ha meno. Votare non solo non costa nulla ma un voto di un povero conta come quello di un ricco. E i poveri + classe media sono più dell’1% (i ricchi). In altre parole la democrazia è uno strumento potente, se si va tutti a votare, in un mondo in cui le preferenze dei ricchi potrebbero non essere per l’ambiente (Panama papers…)
Detto questo, se te lo puoi permettere, compra senz’altro un’auto elettrica, installa un pannello fotovoltaico, metti una batteria (domestica o meno), ecc. Queste cose valgono molto (anche in termini di apertura del mercato). Ma vai anche a votare il 17. Le due cose non sono alternative.
@cattaneo (citato da alberto)
Occorre ridurre i consumi non la produzione di energia da fonte fossile.
Risposta: occorre ridurre tutti e due ma attenzione! Se si riducono i consumi in Italia (secondo il tuo esempio, andando meno in macchina sul lungotevere…), il petrolio e li gas estratti in adriatico andranno ad alimentare qualche altro posto, quindi visto che l’atmosfera è una, l’impatto è identico.
L’articolo di Nature che citiamo al punto 3 dice in modo autorevole che larga parte delle riserve fossili devono rimanere sotto terra. E proprio questo risultato viene ottenuto votando SI.
Serve anche altro? Si, è ovvio. Ma stando a casa il messaggio che dai è deprimente e non aiuta. Se lo fai, accendi la tv o internet il 22 aprile e vedi cosa succede a New York (e poi domandati se per caso non sei fuori dal mondo…)
@cattaneo (citato da alberto)
Il Mozambico ha più diritto dell’Italia ad estrarre gas/petrolio. Perché la sua economia è più arretrata e dipende maggiormente da quello per innescare lo sviluppo. Noi abbiamo molti più settori industriali (esistenti e da sviluppare): edilizia sostenibile, macchinari a bassi consumi energetici, ecc.
Si chiama equità. Ed è un principio dell’Accordo di Parigi (tutti fanno la loro parte ma tenendo conto delle responsabilità storiche differenti e del diverso stadio di sviluppo): Per quanto riguarda le responsabilità storiche dell’Italia, il nostro Paese ha molti decenni di sviluppo industriale largamente basato sull’energia petrolifera, col risultato che, ad
esempio è l’undicesimo paese al mondo su 222 per emissioni cumulate di CO2 (1970-2012), avendo emesso noi quasi quanto l’intero settore marittimo dei trasporti inter-nazionali.
Prendere in considerazione i decenni precedenti (o escludere
gli anni più recenti) dovrebbe ulteriormente incrementare tale posizione.
Fonte: http://edgar.jrc.ec.europa.eu/overview.php?v=42FT2012
Fare i piagnoni non serve…. la nostra quota di sporcizia l’abbiamo già immessa in atmosfera. Ora basta.
@Astropay
si vede lontano un miglio, pure dal tuo nomignolo, che sei pagato per fare astroturf = finto grassroot = troll
Parliamo di referendum, sai?
@homoereticus
Il referendum non ha spezzato il silenzio ma la colpa non è mica di chi lo ha promosso e di chi propone di votare SI….
Più in generale, le argomentazioni dell’articolo a favore del No / astensione che viene citato hanno comunque l’effetto di “stringere” la cornice (frame), cercando di discutere in modo serrato e pignolo la questione. Utile ma non sempre necessario.
Quando si parla di clima è importante anche tenere il frame molto ampio, poiché sono gli effetti cumulati e prospettici a dominare una qualsiasi azione puntuale.
Non è importante se i pozzi siano 3 o 12, se si tratti di piattaforme o trivelle, se i km dalla costa siano 12 o 15, se ciò che è estratto è petrolio o gas, la domanda sottesa è: pensi che lo sviluppo consista nello sfruttare fino all’estremo limite le risorse fossili o che l’Italia debba riprendere la strada verso l’efficienza energetica e verso le rinnovabili, fermata pochi anni fa e con risultati disastrosi per l’occupazione?
E’ in gioco la qualità dello sviluppo, non la sua quantità.
Vediamo la questione da un altro punto di vista, il 2015 è stato un anno di svolta per l’industria petrolio gas non solo per l’Accordo di Parigi, ma anche per una valanga di fallimenti aziendali…
es.
http://money.cnn.com/2016/02/11/investing/oil-prices-bankruptcies-spike/index.html?iid=EL
Questo è il segnale del mercato….
@valentino
sempre interessanti e informate le tue considerazioni.
A scanso di equivoci, pur avendo apprezzato la provocazione di Cattaneo, andrò a votare sì e sto cercando di convincere amici e conoscenti a fare lo stesso.
@homoereticus
Bene! E ancora sui segnali di mercato – sfavorevolissimi alle fonti fossili: il Belgio è il settimo paese UE ad aver chiuso fino all’ultimo impianto di produzione di energia alimentato a carbone
http://tcktcktck.org/2016/04/coal-plant-closures-becoming-new-normal-europe/
L’onda è in questa direzione…
Ulteriore appello di scienziati per il SI:
http://awsassets.wwfit.panda.org/downloads/trivelle_appello_degli_scienziati.pdf
e di volti noti del cinema italiano:
https://www.youtube.com/watch?v=STNm79jWhgU
Nel contempo, sembra che l’Italia firmerà l’Accordo di Parigi:
http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/ContentItem-fbd8ee1b-84b2-4ab7-a945-531f4b9cb355.html
“Venerdì 22, sempre al Palazzo di Vetro, Matteo Renzi parteciperà alla cerimonia per la firma dell’Accordo Cop21 di Parigi”.
Come riportato anche da
http://www.accordodiparigi.it/ratificazione.htm
dove c’è la lista dei Paesi che firmano il 22 aprile e pure di quelli che depositano lo strumento di ratificazione.
@Valentino: mi pare di capire che in mancanza di un argomento solido a favore di un possibile scenario di tipo A i suoi numerosi interventi si siano indirizzati nella ricerca di segnali di speranza.
La capisco ma non la condivido.
Il suo atteggiamento mi ricorda i tanti ottimisti-utopisti che per decenni hanno guardato allo sviluppo economico del mezzogiorno italiano in termini di “macchie di leopardo”.
Il problema è sempre stato che c’ erano (e ci sono ancora per fortuna) le macchie ma non c’è il leopardo.
Purtroppo individuare ottimisticamente qualche nuova macchia, piccola o grande, ed elencare mostrando agli altri con orgoglio tutte le altre scovate in precedenza, misurate con precisione al mm2 magari zoomando sui peli che indicano la possibile fine della macchia oppure no, mi pare un modo per rifiutare di allargare lo sguardo al sistema complessivo (sia quello climatico/energetico mondiale che quello enormemente più piccolo del sistema sociale/economico italiano).
[…] Per una informazione dettagliata sulle ragioni del sì leggete questo sito. […]