La proposta di Effort Sharing europeo al 2030: -33% per l’Italia
È stata presentata in luglio dalla Commissione Europea la proposta legislativa per l’Effort Sharing Regulation, ovvero la suddivisione tra gli Stati Membri dell’obiettivo comunitario di riduzione delle emissioni di gas serra del 40% entro il 2030 rispetto al 1990 (già approvato nel 2014 con il “2030 climate and energy goals for a competitive, secure and low-carbon EU economy”).
È opportuno ricordare come l’obiettivo europeo al 2030 è stato scomposto in due parti: da una parte un obiettivo di riduzione delle emissioni per i grandi impianti industriali che ricadono nell’Emission Trading Europeo (abbreviato con “EU-ETS”: centrali elettriche, cementerie, acciaierie, raffinerie, ecc., elenco completo qui), dall’altra un obiettivo di emissioni degli altri settori (chiamati ESD: emissioni da riscaldamento edifici, trasporti, emissioni non CO2 da agricoltura, rifiuti, piccola industria, ecc). Gli obiettivi al 2030, riportati nell’INDC trasmesso dall’Unione Europea nell’ambito dell’Accordo di Parigi, sono:
– per il settore EU-ETS, riduzione del 43% complessivo rispetto alle emissioni del 2005;
– per il settore non EU-ETS, riduzione del 30% rispetto alle emissioni del 2005.
La proposta di Effort Sharing (“condivisione dello sforzo”) si riferisce alle sole emissioni derivanti dai settori non EU-ETS, e suddivide il -30% europeo fra gli Stati Membri, con obiettivi differenziati mostrati nel grafico a fianco. Sono obiettivi decisi sulla base di valutazioni tecniche economiche volte a valutare la “difficoltà” che si ritiene gli Stati faranno nel ridurre le emissioni (ad esempio uno dei confronti utilizzati è quello del valore dei PIL nazionali rispetto alla media EU, si veda lo Studio dell’impatto delle misure di riduzione), chi ha PIL più alto deve ridurre di più.
Per questo gli obiettivi dei singoli stati vanno da 0 a -40%; per l’Italia, il target è di ridurre le emissioni dei settori non-ETS del 33% nel 2030 rispetto al 2005 (qui i numeri per gli altri paesi).
Come già successo per la ripartizione degli obiettivi del Protocollo di Kyoto (-8% Europa, -6,5 % Italia, nel periodo 1990-2008/2012) o gli obiettivi dei settori non ETS del Pacchetto “20-20-20” (-10% Europa, -13% Italia, nel periodo 2005-2020), dall’Italia sono arrivate proteste che hanno definito “non equa” la quota assegnata al nostro Paese (si veda ad esempio il parere del Ministro dell’Ambiente Galletti, questa intervista), pur sempre con la formula retorica che “l’Italia è pronta a fare la sua parte”. Pur se è vero che l’Italia si trova in una particolare condizione, essendo l’unico paese con il PIL inferiore alla media ed un target assegnato superiore alla media europea, va ricordato che gli impegni europei al 2030 saranno comunque da rivedere al rialzo nei prossimi anni, in quanto non congruenti con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi (qui l’analisi di Climate Action Tracker).
Altro punto chiave dei prossimi negoziati per l’assegnazione degli obiettivi nazionali, è legato al cosiddetto “starting point”, ovvero il punto d’inizio della traiettoria di riduzione che dovrà condurre ogni Stato Membro all’obiettivo fissato previsti per il 2030. Si è deciso che il punto d’inizio non sarà il livello delle emissioni previsto dagli obiettivi 2020, ma la media delle emissioni 2016-2018.. Pur se non bisognerà aspettare i dati 2016-2018 per capire chi è stato avvantaggiato da questa decisione, la figura seguente (tratta dal database dell’Agenzia Europea per l’Ambiente, qui i dati) mostra come per ora paesi come Danimarca, Irlanda e Germania non hanno ancora raggiunto l’obiettivo previsto per il 2020 dalla precedente Effort Sharing Decision (ESD), quindi per ora avrebbero un vantaggio. Potrebbero essere svantaggiati altri paesi che, come l’Italia, hanno già emissioni inferiori a quelle dell’obiettivo fissato per il 2020.
La proposta include due nuove forme di flessibilità che dovrebbero facilitare il raggiungimento dei target:
- la flessibilità ETS/ESD, che permette agli Stati Membri di utilizzare quote EU-ETS per coprire parte delle emissioni dei settori ESD.
- la flessibilità di utilizzare crediti derivanti dal cosiddetto settore LULUCF (“Land Use, Land Use Change and Forestry”) per il raggiungimento degli obiettivi dell’Effort Sharing. L’utilizzo di questa flessibilità è limitata ad un tetto massimo di 280Mt CO2 eq. a livello europeo (circa 0.5% delle emissioni del 1990), suddiviso tra gli Stati Membri sulla base dell’importanza relativa delle emissioni dal settore agricolo in ciascun paese.
Contestualmente alla proposta di Effort Sharing è stata presentata una proposta di nuovo regolamento per il settore LULUCF. Questo settore include tutti gli usi del suolo (tranne le emissioni di CH4 e N2O del settore agricoltura) e, soprattutto grazie alla CO2 assorbita dalle foreste, permette di compensare circa il 7% delle emissioni totali a livello europeo. Si tratta di un settore estremamente complesso perché è l’unico dove le emissioni di origine antropica sono strettamente connesse a quelle naturali (il ciclo del carbonio): per cercare di riconoscere le une dalle altre, e quindi incentivare azioni di riduzione delle emissioni e/o aumento degli assorbimenti, sono state elaborate complicate regole di contabilizzazione. Queste regole premetteranno di generare “crediti” da utilizzare nei settori non-ETS (vedi sopra) oppure “debiti” che dovranno essere compensati da ulteriori riduzioni di emissioni in altri settori non-ETS.
La più controversa di tali regole riguarda la gestione delle foreste esistenti, che avverrà attraverso il confronto con un “reference level”, cioè un futuro livello di assorbimento di CO2 che si prevede ci sarebbe in ogni paese continuando l’attuale gestione. Se gli assorbimenti di CO2 saranno superiori alle previsioni, il Paese potrà utilizzali come “crediti” nei settori non-ETS. Questa regola è importante non solo per incentivare azioni di mitigazione nel settore forestale, ma anche (e forse soprattutto) per consentire una contabilizzazione più credibile e corretta della biomassa utilizzata a fini energetici (che attualmente fornisce oltre la metà dell’energia rinnovabile in Europa). Dato che le emissioni di CO2 derivanti dalla combustione della biomassa non viene conteggiata nel settore energetico (ETS o non-ETS), ma come calo di biomassa nel settore LULUCF, è evidente l’importanza di un conteggio completo e rigoroso.
Il quadro complessivo (riportato nella figura seguente) sembra favorire gli Stati Membri per i quali il peso delle emissioni del settore agricolo è particolarmente rilevante (come Irlanda e Danimarca); per l’Italia si prevede, invece, la possibilità di utilizzo molto ridotto delle flessibilità.
Testo di Stefano Caserini, Marina Vitullo, Giacomo Grassi e Federico Brocchieri.
8 responses so far
Dovreste rendere le immagini cliccabili in modo che ne appaia una versione più grande: non si leggono così piccole.
La prima figura (interattiva) e’ al link http://www.eea.europa.eu/data-and-maps/daviz/ghg-distance-of-non-ETS-3#tab-googlechartid_chart_11, riportato nel post.
La seconda figura è stata elaborata sulla base della tabella riportata al link: http://ec.europa.eu/clima/policies/effort/proposal/index_en.htm
Aggiunti sulle figure i due link. Grazie del suggerimento.
@ Robertok06
Mi sembra che la netiquette (https://www.climalteranti.it/netiquette/) sia chiara:
“1- Il commento deve essere relativo al tema proposto dal post a cui si riferisce. Non sono ammessi commenti fuori tema o legati indirettamente al tema trattato. Per fare un esempio, se un post parla delle concentrazioni di CO2, i commenti con i link su nuove teorie sull’influenza solare non saranno accettati;”
La regola serve per fare in modo di poter rintracciare in futuro le discussioni, e anche per evitare di ripetere le stesse cose.
Quindi un commento in questo post su una temporanea decellerazione dell’effetto serra è fuori tema.
Il commento è stato dunque rimmoso, e così i commenti seguenti. Se vuole troverà senza fatica altri post in cui questo commento non è fuori tema.
Grazie
@Stefano Caserini
Ha ragione, per questo chiedo scusa se anch’io non ho fatto caso alla netiquette, da ora in poi presterò più attenzione.
[…] illustrato nell’analisi da parte di Climalteranti, infatti, il nostro Paese avrebbe un accesso estremamente ridotto ai meccanismi di flessibilità […]
[…] Piena ed intera esecuzione è data all’Accordo di Parigi, a decorrere dalla data della sua entrata in vigore (4 novembre 2016). Con queste poche parole si introducono nel nostro ordinamento gli obiettivi, gli strumenti e la mobilitazione generalizzata sanciti dall’Accordo sul clima. Innanzitutto un obiettivo di temperatura: “molto al di sotto dei due gradi”, ben più ambizioso di quanto fino a non molto tempo fa era l’obiettivo europeo dei due gradi, in continuità con quanto stabilito a Copenhagen nel 2009. Questo nuovo obiettivo è vincolante e viene raggiunto tramite un processo permanente di incrementi frequenti dei “Contributi determinati a livello nazionale”. Nel 2015 l’Ue ha presentato il proprio, a nome di tutti i Paesi membri, e lo ha per il momento quantificato come taglio del 40% delle emissioni nel 2030, cui ha corrisposto un contributo italiano del 33% rispetto al 2005 nei settori non europeizzati (grandi imp… […]
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