Tra Enciclica e Accordo di Parigi: addio ai fossili, benvenuta resilienza
L’ultimo, già premiato, libro di Luca Lombroso apre il dibattito a temi nuovi, dando una spallata al passato.
Se nel suo precedente “Dipende da Te, 101 cose da fare per salvare il pianeta e vivere meglio” il meteorologo e divulgatore ambientale Luca Lombroso mostrava come sia possibile “coltivare il proprio giardino”, anche in assenza di grandi accordi internazionali, nel nuovo libro “Ciao fossili. Cambiamenti climatici: resilienza e futuro post carbon” (Edizioni Artestampa, 256 pagine) Lombroso descrive invece il cielo che si sta sgombrando tra Enciclica, Accordo di Parigi e modifiche di fondo dello scenario economico-sociale.
Sempre con capitoletti brevissimi di 1-2 pagine, che alternano ragionamenti a slogan di sintesi. Non senza posizioni originali che sollecitano il dibattito.
È finita (per i fossili)
Il messaggio forte del libro è che la transizione è divenuta inarrestabile. Sostiene che occorre rapidamente uscire dalla dipendenza dai combustibili fossili, e che i valori sul cruscotto aziendale delle imprese fossili, specie quelle molto esposte nel carbone, e quelle ad alti consumi di energia, possono già essere sul rosso. Già in passato il rosso nei bilanci è comparso per le ampie fluttuazioni dei prezzi del petrolio, del gas e del carbone; adesso a quella che sarebbe una situazione congiunturale si aggiungono altri elementi: la prospettiva di decarbonizzazione contenuta nell’Accordo e i risultati impressionanti delle rinnovabili in termini di quantità, di prezzi e di effetti sul mercato). Tutto questo diventa per alcune aziende fossili, incluse quelle giganti, una buona ragione per chiudere; se infatti ampie perdite correnti possono essere compensate tramite profitti futuri, la cui anticipazione è assicurata dal sistema creditizio e finanziario, quest’ultimo è molto meno disponibile oggi ad assumersi questo rischio, vista anche la necessità di deprezzare il valore dei giacimenti sulla base non solo dei prezzi correnti ma anche della necessità di tenere larghissime parti di essi sotto terra per conseguire gli obiettivi ormai vincolanti dell’Accordo di Parigi (si veda la Figura 1).
Altri studi indicano una dinamica diversificata a seconda di quale parte del mondo fossile verrà sacrificata per prima. Se infatti il taglio dovesse riguardare, oltre che il carbone, anche il petrolio (e quindi la benzina e il gasolio per autotrazione), almeno in parte il gas potrebbe salvarsi.
Figura 1 Emissioni di CO2 dallo sviluppo delle riserve di combustibili fossili, e proiezioni delle emissioni dalla produzione di cemento e dalle variazioni dell’uso del suolo. Fonte: “Why the Paris climate goals require a managed decline of fossil fuel production”, 2016
La bancarotta è una realtà con cui molte aziende dei combustibili fossili si stanno confrontando. Vari analisti finanziari lo sottolineano, le banche che già nel 2015 venivano invitate a fare una analisi completa dei loro rischi, oggi si stanno muovendo e cominciando a riallocare il portafoglio . Le imprese fossil fuel sarebbero quindi, secondo l’autore, dinosauri in via di estinzione. Qualcuno può non essere d’accordo. Lo dica.
Tra adattamento e resilienza
Il mantra dei negoziati sul clima, ben documentati nel libro con l’esperienza diretta dell’autore, ha utilizzato la parola “adattamento” per indicare la riduzione della vulnerabilità, con l’aumento della preparazione agli eventi estremi e la modifica di comportamenti, anche organizzati, e dotazioni materiali (ecosistemiche, tecnologiche ed infrastrutturali) per gestire a priori ed a posteriori gli impatti della mutazione climatica, mentre la minimizzazione dei danni fa già parte del capitolo distinto di “Perdite e Danni” (Loss and Damage) . Ma la parola “adattamento” contiene un’origine semantica di lingua comune ambigua e sgradevole: l’idea che si debba accettare e subire. Far buon viso a cattiva sorte. Cambiare noi stessi perché ormai non c’è più nulla da fare. In fondo anche la “mitigazione” (che vorrebbe dire “tagliare” le emissioni) ha una sfumatura, in lingua corrente, che la porta ad essere interscambiabile all’”alleviare con pannicelli caldi” qualcosa che davvero non sappiamo “combattere”, “contrastare” o “impedire”. Sono parole deboli e caute.
L’autore sottolinea che nell’Enciclica di Papa Francesco la parola “adattamento” non compare, se non in espressioni derivate e spesso in termini negativi (difficoltà od impossibilità di adattarsi). Sollecita quindi una riflessione a tutto tondo dentro e fuori la comunità scientifica e dei policymakers che, tra mille difficoltà, stanno cercando di porre la questione dell’adattamento in strategie, piani e azioni in Italia.
Scrive Lombroso: “Non vi è dubbio che ormai siamo costretti ad adattarci perché i cambiamenti sono già una realtà, ma non dimentichiamoci che l’adattamento non deve essere visto come un ripiego, come una alternativa alla mitigazione. È bene ricordare che possiamo, e anzi dobbiamo, adattarci al clima che cambia, ma questo è possibile solo entro certi limiti”.
Li sfida quindi a parlare di “resilienza” [1], cioè capacità di tornare a galla, a rimanere sé stessi dopo i colpi inferti, ed a ridurre la vulnerabilità strutturale ma anche a progettare ed intraprendere attività concrete che rimargino la ferita prima che il danno porti all’infezione
In alcune aree del nostro Pianeta probabilmente le azioni tradizionali di adattamento incrementale [2] o le azioni per la costruzione di resilienza, così come definite internazionalmente, potrebbero risultare non efficaci in un prossimo futuro e le società dovranno progettare e attuare azioni di adattamento “trasformativo”; in altre parole, azioni di adattamento che cambiano gli attributi fondamentali di un sistema in risposta al clima e dei suoi effetti, mantenendo un alto livello di qualità dell’adattamento. Va inoltre considerata la necessità di includere nelle strategie di adattamento i criteri indicati dall’art. 7 dell’Accordo di Parigi: deve essere scelto localmente dal Paese dove avviene e non dal finanziatore dell’azione, deve derivare da un processo partecipativo, pienamente trasparente, mettendo al centro gli ecosistemi, le comunità e i gruppi vulnerabili e rispettoso della differenza di genere.
Usa e getta
Il gesto quotidiano, suggerito nei supermercati ad ogni banchetto di frutta o nei bar ad ogni bicchiere d’acqua di plastica, di usare un bene durevole per un’attività che non lo richiede e lo conduce in un lampo ad essere rifiuto è, secondo l’Enciclica di Papa Francesco, sostrato materiale di una cultura dello scarto, “che colpisce tanto gli esseri umani esclusi quanto le cose che si trasformano velocemente in spazzatura” in una fase in cui “la terra, nostra casa, sembra trasformarsi sempre più in un immenso deposito di immondizia”. Lombroso riprende, commenta ed amplia questi passi, sottolineando gli approcci scientifici dell’Analisi del ciclo di vita del prodotto.
Rallentare, comunità, economia circolare
Il nuovo paradigma dovrebbe chiudere il cerchio nell’uso delle risorse, come avviene negli ecosistemi. “Dobbiamo sostituire le filiere con cerchi, con tanti cerchi locali, di produzione e di uso (e non consumo)”.
Non bastano più i gesti simbolici, occorrono scatti profondi
Nella nuova lista di azioni individuali, Lombroso non menziona più i piccoli risparmi, testimonianze giustificate dal “se tutti facessero così”. Propone invece investimenti consapevoli che tagliano del 40% o più le proprie emissioni. Ad esempio consiglia: “Passa a fonti rinnovabili, nel riscaldamento e nell’elettricità, o con l’auto-produzione o scegliendo fornitori specializzati…Se puoi, rinuncia all’auto oppure passa ad una elettrica od ibrida… Dì ai tuoi amministratori locali che vuoi una città smart, ecologica e resiliente. Vota solo chi fa e mantiene questa promessa”. La barra minima si alza. Siamo diventati più esigenti.
Non capita tutti i giorni di ricevere dal Papa un ringraziamento ed un incoraggiamento per un proprio libro. È quello che invece è accaduto a Luca Lombroso, per un libro precedente (“Apocalypse now. Clima, ambiente, cataclismi. Possiamo salvare il mondo, ora”). Ma siamo sicuri che questo gli piacerà ancor di più.
Testo a cura di Valentino Piana, con il contributo di Sergio Castellari.
[1] Resilienza: la capacità di un sistema socio-ecologico di far fronte a un evento pericoloso, o ad anomalie, reagendo o riorganizzandosi in modi che ne preservano le sue funzioni essenziali, l’identità e la struttura, mantenendo tuttavia anche le capacità di adattamento, apprendimento trasformazione. (IPCC AR5 WGII, 2014)
[2] Le azioni di adattamento incrementale sono quelle in cui l’obiettivo principale è quello di mantenere l’essenza e l’integrità di un sistema o di un processo su una certa scala (IPCC AR5 WGII, 2014).
48 responses so far
“Le imprese fossil fuel sarebbero quindi, secondo l’autore, dinosauri in via di estinzione. Qualcuno può non essere d’accordo. Lo dica.”
Io.
E non perche’ ami “i fossili” (che, ricordiamolo, con l’uso del carbone hanno comunque evitato a noi europei di disboscare completamente il continente, qualche secolo fa’… o ce ne siamo dimenticati?)… ma semplicemente a causa di news come questa, di pochi giorni fa:
https://about.bnef.com/blog/two-setbacks-clean-energy-times-changin/
“Two big, disconcerting clean energy stories hit the headlines in the last month. The first was our report that global investment in the third quarter of 2016 was down 43 percent on the same period a year earlier; the second was Australian Prime Minister Malcolm Turnbull blaming overly aggressive renewables targets for an eight-hour system-wide black-out of Adelaide and the rest of South Australia on September 28.
What might seem like two unconnected stories may actually be signs that the clean energy times, in the words of Bob Dylan, this year’s Nobel Laureate for Literature, are a-changin’.”
Oppure questo?… recentissimo pure lui?
https://www.bbhub.io/bnef/sites/4/2016/07/20160714_BNEF_Clean-energy-investment-Q2-2016-factpack.pdf
… investimenti in stagnazione o crescita minima in EU e Nord America.
17500 TW e’ (se non ricordo male) la potenza istantanea da generare per il pianeta –> adesso <–, in aumento per una popolazione che arrivera' a 10 miliardi e forse piu' a meta' secolo… senza nucleare, senza fossili… hai voglia di farlo a colpi di risparmi e resilienza, pannellini e ventoline…
Nelle ultime settimane non sono riuscito a fare come necessario la moderazione dei commenti, anche per numerosi impegni, alcuni dei quali mi hanno portato all’estero con connessioni limitate.
D’ora in poi le regole della netiquette https://www.climalteranti.it/netiquette/ saranno applicate in maniera tassativa, anche in modo retroattivo.
Se c’erano dubbi sull’utilità delle regole definite, penso che si possa dire che le interminabili discussioni a 2 del post precedente sono state molto spesso davvero confuse, poco leggibili.
Grazie. SC
Rispetto l’opione di Robertok06 ma ovviamente non la condivido.
la questione, semplicemente, è di sopravvivenza della specie umana o quanto meno, come dice la Banca mondiale , della “società globale interconnessa”.
Del resto ci sono esmepi come i Rockefeller che disinvestono dai combustibili fossili a mio parere non certo per ambientalismo ma perchè sanno che il futuro non è li
non dimentichiamoci che i combustibili fossili sono una risorsa limitata e soggetti al Picco di produzione o picco di hubbert.
per restare al mio libro, cito per esmepio Papa Francesco dove dice
Sappiamo che la tecnologia basata sui combustibili fossili, molto inquinanti – specie il carbone, ma anche il petrolio e, in misura mi- nore, il gas –, deve essere sostituita progressiva- mente e senza indugio.
e riguardo ai 10 miliardi, mah… c’è un problema piuttosto dimenticato, scomodo, ma c’è: la sovrappopolazione.
ma mi fermo qui.
@robertok6
Se 42 miliardi di dollari di nuovi investimenti in rinnovabilu in un trimestre vi sembrano pochi… i tempi sono davvero cambiati da quando le chiamavano energie alternative
E il prezzo a MW è in calo, quindi in termini di potenza installata il calo è minore
@ Stefano Caserini
Grazie, era ora.
I 150 miliardi di dollari di investimenti annuali nella generazione elettrica eolica e fotovoltaica possono sembrare tanti. Ma confrontati a quelli di tutte le industrie petrolchimica, minerarie, automobilistiche, termoelettriche etc etc diventano scarsamente rilevanti.
Purtroppo la realtà è ben diversa rispetto alle utopie. Gli ultimi 10-15 anni di sviluppo esponenziale delle rinnovabili incentivare (e giustamente imo dato che era l’ unico modo) dai sussidi delle Nazioni ricche o delle grandi potenze emergenti come la Cina non hanno intaccato se non in maniera irrisoria il dominio delle fonti fossili sulla struttura economica e tecnologica di base dell’ umanità. Piaccia o meno I fossili forniscono un’ immane quantità di energia a noi 7.5 miliardi di umani, in pratica i 2/3 di tutta l’ energia primaria. E salvo rivoluzioni tecnologiche ad oggi non preventiva bici ci vorranno decenni anche solo perché diminuiscano (in termini percentuali ma non è detto in valori assoluti vista la crescita demografica combinata in maniera micidiale con la crescita globale dei consumi procapite) fino ad arrivare ad 1/2 del totale.
Ripeto purtroppo.
Sarebbe bello poterci credere, ma con il dovuto rispetto, la realtà descritta da Luca Lombroso non corrisponde alla realtà che esiste sul serio. Le corporazioni che gestiscono i combustibili fossili hanno fatturati superiori al PIL del continente africano (fonti dirette, su Internet), e gli investimenti sulle nuove tecnologie (fracking, shale fuels) rendono i discorsi sugli investimenti sulle rinnovabili un mero greenwashing mediatico. Ripeto, con il dovuto rispetto sia per le opinioni altrui, sia per la “positività” di Lombroso, che mi piacerebbe riuscire a condividere, la realtà purtroppo è diversa da quella descritta, e l’Accordo di Parigi è un accordo per ignorarla. A parte cercare nell’Accordo una qualsiasi traccia di azioni applicabili e cogenti che dovrebbero portare a una diminuzione delle emissioni, invito tutti a cercare, nel testo dell’Accordo, quante volte vengono nominate le parole “petrolio” e “energia”, e cioè due delle parole maggiormente legate alle cause delle emissioni.
@Francesco
Lei cerca nel posto sbagliato. Energia, trasporti, deforestazione, leakages da metano, ecc. ecc. sono parole che lei deve cercare negli NDC (Contributi determinati a livelli nazionali), nelle NAMA (Nationally Appropriate Mitigation Actions), nelle scelte indicate alla Non-State Actor Zone for Climate Action, nei facilitative dialogues tra Stati, settore privato, società civile, mondo della ricerca, e nelle attività che vengno chiamate pre-2020, di cui sono appena uscite le linee guida UNFCCC.
L’Accordo è il quadro di riferimento vincolante a cui tutte queste cose sono collegate.
Per un download di parte di questo materiale vada a
http://www.economicswebinstitute.org/data/indc.zip
@alberto
” i 2/3 di tutta l’ energia primaria.”
Il riferimento all’energia primaria è misleading. Gran parte di essa viene prodotta al fine di produrre elettricità. Se ottengo elettricità con pale e pannelli, di essa non ho bisogno. Puff.
In generale molti degli argomenti portati sull’importanza dei fossili dimenticano il tipo di economia nella quale viviamo. Nell’economia di mercato sono i profitti, non il fatturato o i costi o “che gli altri abbiano bisogno di noi” a muovere tutto. Non conta che i fossili coprano una parte ampia del fabbisogno energetico.
Se vanno in rosso per motivi aziendali e congiunturali, vanno in banca a chiedere un finanziamento ponte per arrivare ad un nuovo periodo di profitti, magari facendo un piano di nuovi investimenti (es. CSS), oggi il sistema bancario è meno pronto di prima a rischiare (poché il periodo di ritorno alla profittabilità potrebbe non durare abbastanza). La forma della profittabilità è in questo caso una U rovesciata (la cui coda lontana è scritta nell’Accordo di Parigi). Finché l’impresa fa lauti profitti, tutto bene. Se piove ed ha bisgno di un ombrello, be’, qualche dubbio in più di prima… Se nel suo conto patrimoniale ha tanti giacimenti ancora da sfruttare… il loro valore può richiedere una svalutazione.
17500 terawatt? Ossia 1,7 per 10^16 Watt di potenza instantanea?
Ossia 1,7 per10^13 kiloWatt, quindi 1,7 per 10^3 kilowatt pro-capite, contando 10^10 abitanti.
Millesettecento chilowatt di potenza istantanea pro-capite.
Forse ci sono tre zeri di troppo, o mi sbaglio?
Comunque essendo la potenza continua del Sole sulla Terra circa 1,73 per 10^14
kiloWatt, basta questo fatto per capire che ci sono davvero troppi zeri nel conto.
Ed anche il fatto che adoperando un millesimo della potenza del Sole avremmo
diciassette kiloWatt pro-capite di energia rinnovabile.
Ma al di la’ dei conti più o meno accurati, non abbiamo già visto che troppo poca energia
é dannosa tanto quanto troppa?
Come per qualsiasi cosa, d’altra parte.
Forse mi sono inciampato anch’io nei calcoli.
Se fosse, chi ha evitato il ciottolo mi corrregga 😉
Marco Sclarandis
@Valentino Piana
Grazie per il materiale, che integra nel dettaglio quello già in mio possesso. La lettura degli NDC dei Paesi più direttamente responsabili delle emissioni di GHG (in primis USA), lungi dallo smentire quanto da me rilevato nel mio commento, lo conferma. Comunque, Mr Trump considera il contributo umano al riscaldamento globale come “una pura invenzione dei cinesi per guadagnare mercati”, e questo rischia di rendere irrilevante qualsiasi dibattito.
Grazie dell’ospitalità
FG
@lombroso
Portare il papa a supporto delle proprie tesi, e due righe piu’ sotto parlare di problema demografico in termini catastrofistici, quando il papa e la chiesa che esso guida sono DA SEMPRE contro qualsiasi forma di controllo delle nascite, pianificazione familiare, etc…?? Un po’ di coerennza, per favore.
In proposito propongo lettura di ….
http://www.nature.com/news/the-science-myths-that-will-not-die-1.19022#/ref-link-9
… mito no.5:
“… beliefs that the rate of population growth will lead to some doomsday scenario have been continually perpetuated. Celebrated physicist Albert Bartlett, for example, gave more than 1,742 lectures on exponential human population growth and the dire consequences starting in 1969.”
(dedicato anche @ocasapiens, @laura):
“The world’s population also has enough to eat. According to the Food and Agriculture Organization of the United Nations, the rate of global food production outstrips the growth of the population. People grow enough calories in cereals alone to feed between 10 billion and 12 billion people.”
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@Valentino
42 miliardi/trimestre di rinnovabili intermittenti in un anno non sono nulla rispetto all’obbiettivo annunciato, cioe’ di decarbonizzare la stragrande maggioranza dell’energia entro il 2050. Basta fare due conti semplici, ma veramente semplici.
Fattore di capacita’ medio di un mix 50-50 di eolico e FV?… 20-25% max… prendiamo pure 25%… con 42 miliardi di dollari ci si comprano 21 GW di eolico e 10 GW di FV (usa pure altre stime se vuoi)… che generano quindi 4x31E+9*8766*0.25=272 TWh/anno…. a fronte di 175MILA TWh/anno di consumo energetico del pianeta (adesso)…. 640 volte di piu’.
Bisognerebbe investire almeno 500-1000 miliardi/anno, per decenni e decenni, e anche in quel caso non sarebbe sufficiente, perche’ oltre ad un certo livello di penetrazione le rinnovabili intermittenti si bloccano, non producono praticamente nulla di sfruttabile (ampi esempi esistono gia’, vedi per es. link per marco qui sotto).
Esempio reale: appena passi con le REN intermittenti il punto in cui devi stoccare il surplus, il metodo meno caro di stoccaggio e’ l’idro da pompaggio…. bacino di Campolattaro, prov. di Benevento, 600 milioni di Euro e 6 anni di lavoro per stoccare quanta energia?…. 10 GWh, cioe’ poco piu’ di un 1/4 d’ora del consumo elettrico italiano.
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@Paolo C.
Il tuo commento ha infranto almeno un paio di regole di netiquette di questo blog. 🙂
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@caserini
Suggerisco il titolo per un prossimo libro: “Castrazione di un blog: modalita’ d’uso”. 🙁
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@marco
Ho controllato e NON confermo. Sono 175mila TWh di consumi energetici annuali medi per il pianeta… circa 600 quads, come indicato qui…
http://www.eia.gov/forecasts/ieo/world.cfm
… che equivalgono a ~ 20 TW continui. Il mio dato doveva essere in unita’ GW, non TW, chiedo scusa.
L’energia che arriva dal sole e’ sfruttabile solo in piccolissima parte dall’umanita’ (per essere catturata e convertita in energia elettrica, intendo)… come e’ spiegato per esempio qui:
http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S030142151630088X
@kersevan
“The world’s population also has enough to eat. According to the Food and Agriculture Organization of the United Nations, the rate of global food production outstrips the growth of the population. People grow enough calories in cereals alone to feed between 10 billion and 12 billion people.”
OGGI è vero. Ma, come ho provato vanamente a spiegarti nell’altro post, il merito di questo boom alimentare non è ascrivibile all’aumento della concentrazione di CO2 in atmosfera, bensì alla diffusione capillare dei ritrovati della rivoluzione verde che – ahinoi – si basa sull’adozione di risorse non rinnovabili, in particolare idrocarburi per sintetizzare concimi azotati e minerali fosfatici da cui estrarre fosforo (libero di non crederci, ma se tu assicuri alle piante acqua, azoto, fosforo, potassio e luce fanno la loro porca figura anche a 250 ppm). Se guardi alle crisi alimentari degli ultimi 40 anni, capitano quasi sempre in corrispondenza di un cospicuo rialzo del prezzo del petrolio, perché oltre al combustibile per i macchinari aumenta anche il prezzo dei fertilizzanti. Invece il trend di bassi prezzi del petrolio degli ultimi anni si è anche ripercosso sul prezzo dei fertilizzanti favorendo un’adozione massiccia (quindi più produzione agricola).
Siccome idorcarburi e fosfati sono risorse non rinnovabili e il cui picco di produzione è imminente o già arrivato (specialmente i fosfati non se la passano particolarmente bene) tutto questo ben di Dio di produzione poggia su basi alquanto fragili e contingenti. Sembra (dico sembra perché non ho trovato testimonianza del diretto interessato ma solo di alcuni autori che gli attribuiscono tale opinione) che Bourlaug premesse affinché la diffusione della sua rivoluzione verde fosse accompagnata da politiche di pianificazione familiare proprio perché consapevole dei limiti della sua invenzione – a differenza di molti suoi fanatici adoratori, aggiungo.
@ robertok06
Le assicuro che la grande maggioranza di quelli con cui mi sono confrontato, inclusi i membri del Comitato Scientifico di Climalteranti che hanno con me deciso, preferiscono pochi commenti chiari e a tema a tanti interventi confusi, ripetitivi e fuori tema. Questo blog non mira al massimo dei click e della visibilità. In 5 commenti ognuno può mostrare le proprie tesi e rispondere ad alcune di quelle altrui. Poi ci si ferma, si leggono magari meglio gli argomenti degli altri e si rimanda all’occasione succcessiva.
@stefano caserini
Spreco uno dei pochissimi messaggi che mi restano da sparare, come le cartucce di un virtuale revolver a 5 colpi, solo per notare che…
“Le assicuro che la grande maggioranza di quelli con cui mi sono confrontato, inclusi i membri del Comitato Scientifico di Climalteranti che hanno con me deciso, preferiscono pochi commenti chiari e a tema a tanti interventi confusi, ripetitivi e fuori tema”
… e se clicco su “Chi siamo” scopro che la sig.ra Silvie Coyaud e’ membro di tale comitato scientifico… li ha letti i di lei messaggi? Chiari e in tema? non ripetitivi e fuori tema?… dai!
Non occorre nascondersi dietro a regole… e’ chiaro come funziona… l’avevo intuito fin dal primo momento… basta andare a leggere uno dei miei primissimi messaggi. Non disturbare il manovratore.
Cosi’ non e’ un blog, e’ un tazebao… dove si espongono i comunicati…. ma se siete contenti cosi’ voi del comitato scientifico cosi’ sia, il blog/tazebao e’ vostro.
Almeno non nascondiamoci dietro ad un dito, no?
#3
Credo che il TeraWatt ed il TeraWattora non siamo molto indicati per parlare dell’entità della potenza e dell’energia.
Il KiloWatt e il KiloWattora sono più vicini all’esperienza fisica quotidiana della gente.
Diecimila miliardi di KiloWatt, sono la potenza per dare all’umanità attuale e del futuro prossimo un decente livello di benessere.
E le parole diecimila e un miliardo, insieme al prefisso Kilo, sono più comuni che il termine TeraWatt, sebbene le due unità di misura siano semplicemente legate da un fattore mille.
Inoltre, il KiloWatt corrisponde a circa cento (98) Kilogrammi sollevati all’altezza d’un metro nel tempo di un secondo.
Un’immagine facile da tenere a mente.
Marco Sclarandis
la transizione la si può anche non fare..e infatti secondo analisti attenti non verrà mai attuata..
il fatto è che non si vedono vantaggi per le future generazioni dei paesi ‘ex poveri’ come l’India, nel quale decine di milioni di persone non hanno accesso alla rete elettrica e quando gli idrocarburi inizieranno a scarseggiare non avranno certo accesso alla rete elettrica così, per magia.
Sono poi d’accordo, dal punto di vista formale, con Roberto..la CO2 di per sé sarebbe il male minore..in realtà inquina molto di più la molecola di metano..il fatto è che oltre all’emissione esagerata di carbonio (se non erro diverse decine di ‘Hiroshima’ -come calore- al minuto) per una produzione di cose totalmente inutili, distruggiamo anche l’ambiente (biodiversità, acidificazione oceani, acqua ecc..ecc..) e quindi, sostanzialmente, tagliamo il ramo su cui siamo seduti.
Tra l’altro, e non per niente, è per mancanza di risorse e distruzione dell’ecosistema che il MIT negli anni settanta (riconfermando la previsione oggi..) vede la popolazione in netta diminuzione già tra 15-20 anni.
In tutto questo, dovrebbe leggere il libro di Luca chi cerca stimoli e non la pappa pronta. Chi sta studiando l’Enciclica e crede che possa essere una leva di trasformazione interiore e collettiva. Chi non ha paura del futuro ma sa che potrebbe essere pericoloso. A chi piacciono le storie personali e non solo le cifre. Chi prova a prendere sul serio l’Accordo ma è pronto ad andare oltre.
Per sentire un’altra campana sul tema di rinnovabili e fonti fossili:
http://altreconomia.it/prodotto/civilta-solare/
@ Caserini
Concordo, grazie anche da parte mia.
@ Francesco
Anche io sono meno ottimista di Lombroso e Piana, però la situazione attuale è davvero nuova e fluida, ci sono parecchie cose inaspettate, a partire dai prezzi in continua riduzione di wind, FV e batterie. Suggerirei di essere più attenti e di valutare più fonti, dal mondo business io ho ritorni diversi da quelli che avevo 10 anni fa
@ robertok06
A proposito di interventi ripetitivi, quell’articolo di Moriarty e Honnery Robertok Kersevan l’hai già linkato nei due post precedenti
https://www.climalteranti.it/2016/10/05/lagente-betulla-contro-laccordo-di-parigi/#comment-575451
https://www.climalteranti.it/2016/07/17/franco-battaglia-sbaraglia-gli-avversari-112-errori-in-31-pagine/#comment-567807
Insomma, è un articolo su Energy Policy di due australiani della Monash University, non è la Bibbia, magari confrontarlo con altre fonti, no? Non dovresti fare fatica a trovare altri articoli che danno numeri diversi.
Robertok06: Fattore di capacita’ medio di un mix 50-50 di eolico e FV?… 20-25% max… prendiamo pure 25%… con 42 miliardi di dollari ci si comprano 21 GW di eolico e 10 GW di FV (usa pure altre stime se vuoi)… che generano quindi 4x31E+9*8766*0.25=272 TWh/anno…. a fronte di 175MILA TWh/anno di consumo energetico del pianeta (adesso)…. 640 volte di piu’.
Bisognerebbe investire almeno 500-1000 miliardi/anno, per decenni e decenni, e anche in quel caso non sarebbe sufficiente,
Naturalmente non sono in grado di giudicare rispetto alla veridicità di questa stima.
Qui io faccio la parte dell’analfabeta scientifico, diciamo pure l’italiano medio.
Semplicemente, mi faresti un preventivo (a spanne, naturalmente) di quanto costerebbe fornire un minimo dignitoso di energia elettrica distribuita equamente in tutto il mondo, utilizzando centrali nucleari sicure (quelle più costose) e tenendo conto dei prezzi (immagino) crescenti dell’uranio e delle materie prime che servono per costruirle e mantenerle in attività e poi per spegnerle? Ci mettiamo dentro anche i costi ambientali?
Non te lo chiedo per far polemica, anzi, è solo per avere un’idea di che cosa mettere sui due piatti della bilancia.
Saluti
@ robertok06
Le assicuro che se volevamo evitare di essere disturbati non le avremmo fatto pubblicare il centinaio e passa di commenti che ha messo negli ultimi 3 mesi.
Il contenuto scientifico dei suoi commenti non disturba, affatto; non si sopravvaluti, non sono cose così originali.
E’ stato pubblicato The Emission Gap Report 2016, edito da United Nations Environment Programme (UNEP), November 2016. Riporto testualmente:
“Even if fully implemented, the unconditional Intended Nationally Determined Contributions are only consistent with staying below an increase in temperature of 3.2°C by 2100 and 3.0°C, if conditional Intended Nationally Determined Contributions are included”.
That’s it.
@Francesco
Infatti l’Accordo è fondamentalmente un sistema di incremento sistematico dell’ambizione, tramite frequenti e incisivi rilanci. Questa è la sua architettura, non una lista di azioni prefissate da conseguire, ma un quadro facilitativo di un’azione integrata.
Il rilancio può avvenire in ogni paese, es. prima o dopo nuove elezioni, ed anche a cicli quinquennali. La prima occasione importante a valle del facilitative dialogue del 2018-2019.
Ecco la sfilza di eventi della COP22 di Marrakech dedicati alla resilienza:
http://www.cop22.ma/sites/default/files/9%20PDF_1.pdf
@Valentino Piana, @igor giussani, @Antonio, @mercurio, etc…
… e che mi hanno posto domande, sollevato obiezioni, o altro… rinvio a questo link nel mio dropbox…
https://dl.dropboxusercontent.com/u/104842596/Climalterati_last.docx
… dato che le (per me) farlocche 7 regole della netiquette di questo blog mi impedirebbero di rispondere concretamente anche solo ad uno di voi.
Esempio: come si fa a elaborare un po’ la storiella dell’inadeguatezza delle rinnovabili intermittenti (@Antonio) utilizzando meno di 2000 caratteri o non piu’ di 1 link (regole 4 e 5) in modo da soddisfare il bisogno di originalita’ di casarini (vedasi suo ultimo messaggio)?
E’ una mission impossible.
Saluti, e buona lettura.
Roberto
#4
@robertok06
Grazie per il “preventivo”.
Direi che su queste cifre ci si dovrebbe confrontare seriamente.
Ma sia che si parli di rinnovabili oppure di nucleare si tratta di cifre talmente alte che viene il dubbio che debba essere lo stato stesso a farsene carico, almeno in parte. Sbaglio? Con quali soldi visto che lo stato italiano è perennemente sull’orlo del fallimento? Ah, sono anche un analfabeta economico.
Saluti.
@Kersevan (e Sanchez, vedi documento su dropbox)
Se le basi elementari della dinamica dei sistemi sono accessibili persino a un laureato in lettere (quindi un’idiota per definizione) c’è speranza anche per geologi e fisici nucleari, si può fare molto di più che stimare l’andamento produttivo semplicemente dividendo tutte le riserve teoricamenti esistenti di un elemento per il consumo annuale. Quel genialoide di Simon, ragionando in questo maniera, concluse che le principali materie prime erano disponibili anche per 7 miliardi di anni o una roba del genere, cioé molto più della presumibile esistenza della vita sulla Terra. Altro che 300 anni…
Aggiungo una cosa: i singoli conti che si possono fare su una o l’altra tecnologia sono solo una parte della storia. Quello che è importante è di cercare di avere non solo una visione allargata, di guardare al “broad picture” come dicevo prima, ma soprattutto cogliere la tendenza.
Non dubito che si possa trovare qualche sito in cui si critica il solare o qualche articolo in cui si dice che i fossili domineranno. Ma per chi cerca di seguire il quadro generale, è fuori dubbio che negli ultimi anni c’è stato un pesante shift verso le rinnovabili: c’è un “momentum”, sempre per usare un inglesismo.
Ad esempio, prendiamo questi dati sul solare https://cleantechnica.com/2016/08/17/10-solar-energy-facts-charts-everyone-know/
Lombroso e Piana sono parecchio ottimisti nel decretare la fine rapida dei fossili, ma hanno ragione che la direzione è ormai quella. E non sottovaluterei il potere dei Koch Brother & co.
#Valentino
Concordo totalmente con lei. Come dice, “l’Accordo è fondamentalmente un sistema di incremento sistematico dell’ambizione, tramite frequenti e incisivi rilanci. Questa è la sua architettura, non una lista di azioni prefissate da conseguire, ma un quadro facilitativo di un’azione integrata”. Ed è proprio questo il problema, che evidentemente non è così semplice da individuare.
Ok, Robertok, per il momento mi hai convinto.
“Rimettici l’accendisigari”. (Dal film the blues brothers).
Domanda per tutti: la resilienza e’ veramente la miglior risposta che possiamo offrire?
Nel post viene definita resilienza come “la capacità di tornare a galla, a rimanere sé stessi dopo i colpi inferti, ed a ridurre la vulnerabilità strutturale ma anche a progettare ed intraprendere attività concrete che rimargino la ferita prima che il danno porti all’infezione”
La resilienza è sicuramente importante per poter recuperare la rotta durante le tempeste. Ma non è detto che la resilienza sia la qualità migliore di cui essere dotati, soprattutto se la rotta iniziale è magari sbagliata.
Visto che i cambiamenti climatici sono inevitabili, potrebbero questi diventare un’opportunita’ di sviluppo, almeno in certe parti del pianeta?
Mi viene in mente un’altra caratteristica, vecchia come il mondo ma con un nome nuovo, che può essere più utile: è l’antifragilità, come descrive Nassim Nicholas Taleb nel suo libro “Antifragile: Prosperare nel disordine”. L’antifragilità, secondo Taleb, è quella proprietà di un sistema che maltrattato, scosso, sollecitato, non ritorna semplicemente allo stato iniziale ma si modifica diventando più forte, più resistente, insomma progredito.
Esistono delle politiche di adattamento che vanno in questa direzione e prendono i cambiamenti climatici come anche un’opportunita’ di sviluppo (ripeto, almeno a livello regionale)? Grazie.
Antonio
Lombroso e Piana sono parecchio ottimisti
Sembra anche a me, ma per dirla con Sheik Yamami da presidente dell’OPEC, “mica siamo uscita dall’età della pietra perché le pietre scarseggiavano”.
—
Paolo Gabrielli,
anti-fragilità: come gli alberi che hanno bisogno di essere scossi per crescere robusti.
Esistono delle politiche di adattamento che… prendono i cambiamenti climatici come anche un’opportunita’ di sviluppo (ripeto, almeno a livello regionale)
Buona domanda. Per ora le risposte mi sembrano basarsi sul “technology leapfrogging” nei paesi poveri, un po’ com’è successo per i cellulari. Qui trovi degli esempi.
Ci sono centinaia di iniziative simili di agenzie ONU, fondazioni, consorzi pubblici-privati ecc. Alcune sono già policies regionali, per es. le mini-grid per l’energia solare o il recupero di mangrovie, ma non ho idea di quante.
@oca
facendo eco a quel cupo docu-film del 2009 … mi sembra che occorra una carica sovrumana di ottimismo… per essere ottimisti! (usciremo dall’age of stupid anche se non avremo finito la stupidità – la famosa risorsa infinita di cui parlava Einstein- ?)
facezie a parte: ottimismo e pessimismo in un blog non cambiano il clima. E cmq, si vive un giorno alla volta. Quelli di buona volontà ci provano a fare qualcosa di buono, o almeno a non peggiorare troppo le cose. L’uomo comune ha poche armi, efficaci solo se usate da tanti uomini insieme: il voto e la scelta dei nostri rappresentanti politici, le scelte di consumo (nel mio piccolo, quei 3kW di FV sul tetto), le scelte negli investimenti, l’esempio che si può dare agli altri. E questo senza essere eroi, anzi.
Poi, chissà. Gabrielli ha citato Taleb, che ci ha insegnato che i cigni neri esistono e che non si possono prevedere … e almeno un paio di personaggi “neri” che hanno lasciato qualche segno nella battaglia per il clima sono passati da queste parti della galassia recentemente (oltre al papa, mi riferisco all’abbronzato che sta per lasciare la casa bianca)
cavolo gente… ieri sera citavo The age of Stupid, e proprio in quel momento il virus S era in piena azione dalle parti di via solferino, dove pare sia scoppiata un’epidemia
Tenetevi forte, sedetevi, fate un grosso respiro: Paolo Mieli ha sentito l’impulso irrefrenabile (e, ahinoi, irrefrenato) di dispensare lezioni di clima. Tipo questa.
“Il clima poi ha una sua storia molto particolare. Tra il 21 e il 50 d.C. si ebbero temperature superiori a quelle di oggi, tanto che fu possibile importare in Inghilterra la coltivazione della vite”.
Già. Ma che successe, poi nel 51? qualcuno lo sa?
La dialettica tra ottimisti e pessimisti ci può anche stare, con i primi che danno maggiore importanza ai processi “virtuosi” realmente in atto e si aspettano un’ accelerazione delle tendenze in atto.
Solo non mi sembra accettabile che gli ottimisti non considerino la visione d’ insieme, ossia tutti i dati significativi e non solo quelli “positivi”. Perché questo atteggiamento in pratica significa fare del cherry picking involontario.
Quindi, concordo sul fatto che l’ en. elettrica sia fondamentale nei consumi energetici dell’ umanità e nelle emissioni di CO2 collegate (senza dimenticare agricoltura, deforestazione e riscaldamento edifici). Allo stesso tempo eviterei di fissarsi sui trend relativi alla E.E. evitando i trend della en. primaria, di cui quella elettrica è una quota parte significativa (e ad oggi minoritaria, ossia poco meno di 5.5 Gtep contro le 13 e passa Gtep complessive).
Per fissare le valutazioni ottimistiche o meno sulla solida base comune dei dati, inviterei a considerare quanto accaduto nel 2015:
i numeri indicano uno stallo delle emissioni di CO2 per consumi energetici (+0.1%) assieme ad un incremento complessivo di questi pari a circa l’ 1% anno su anno (poco meno di 130 Mtep).
Tale 1% in più (circa la metà dell’ aumento medio annuale nel decennio) si suddivide in massima parte nei seguenti contributi approssimati:
carbone = –(meno) 70 Mtep
eolico & fotovoltaico = + 50 Mtep
gas = + 50 Mtep
petrolio = + 80 Mtep
Ossia, i numeri dicono che delle 200 Mtep (130 da crescita netta e 70 per compensare la congiunturale diminuzione del carbone) 1 / 4 sono state realizzate con nuovo eolico e solare e 2 / 3 con nuovo gas e petrolio.
Consideriamo inoltre quanto successo nell’ ultimo decennio:
la crescita esponenziale di eolico è fotovoltaico è arrivata ad una produzione di circa 0.2 Gtep/y, mentre le fonti fossili (alimentando con la loro combustione la maggioranza assoluta delle attività economiche/tecnologiche dell’ umanità) valgono 11 Gtep/y e soprattutto il loro incremento alla fine del decennio ha comportato un consumo aggiuntivo di 1.5 Gtep/y.
Io spero che la transizione energetica (che è inevitabile, ma non è scontato che non sarà traumatica e si realizzerà senza crolli nei consumi globali) avvenga il prima possibile, ma i trend in atto mi pare che indichino come siamo ancora lontani dal raggiungimento di una effettiva inversione di tendenza tra rinnovabili e fossili e ad un vero e massiccio disinvestimento su queste fonti, piuttosto che ad una semplice differenziazione degli investimenti globali in ambito energetico.
Per una analisi azienda per azienda delle grandi imprese energetiche e la loro esposizione ai rischi si veda:
http://www.iccgov.org/iccgstudies/exposure-of-fossil-fuel-assets-to-carbon-risk-will-stranding-risk-increase-in-a-post-cop21-agreement-world/
@alberto
Finalmente un po’ di razionalita’ nella discussione, ragionamenti basati su dati.
Tutte le forme di produzione di energia elettrica hanno, storicamente, avuto un aumento “esponenziale” delle loro installazioni. Con esponenti diversi, ovviamente. La tecnologia che ha avuto la crescita piu’ rapida e’ stata quella nucleare. Il tasso di crescita delle rinnovabili intermittenti eolico e FV non ha nulla di eccezionale, nel senso che NON migliorano i tassi di crescita annui del nucleare di allora.
Alla prima fase di crescita esponenziale segue sempre una fase di stallo del tasso di crescita con conseguente diminuzione, per poi raggiungere in un certo intervallo di tempo un andamento asintotico. Vento e sole non avranno un comportamento diverso da quello seguito dalle altre tecnologie, non c’e’ ragione che lo facciano… gli editti politici tipo CoP21 non possono cambiare le leggi fisiche di natura, quindi bastera’ aspettare.
In proposito propongo la lettura di questo recente articolo/studio peer-reviewed (linkato qui)…
https://www.greentechmedia.com/articles/read/energy-storage-isnt-necessary-for-a-cleaner-grid
… che mostra con un esempio basato su dati di produzione che senza una buona base di produzione CO2-free non c’e’ modo di decarbonizzare la produzione elettrica al di la’ di un certo valore di penetrazione.
Con questo messaggio sono a 5, quindi fine della corsa qui, rimando per eventuali commenti/risposte al link dropbox che ho citato sopra, il 4/11.
Se il grafico della potenza operativa raffigurato nella pagina Web qui linkata è corretto, la frase ‘Il tasso di crescita delle rinnovabili intermittenti eolico e FV non ha nulla di eccezionale, nel senso che NON migliorano i tassi di crescita annui del nucleare di allora’ non è fondata, basta verificare il primo ventennio di potenza operativa del nucleare con quello di eolico e fv.
http://m.qualenergia.it/view/18106
@ Igor Giussani
@robertok06
“Se il grafico della potenza operativa raffigurato nella pagina Web qui linkata è corretto, ”
È una babele di dati discordanti!
In rete si trova tutto e il contrario di tutto.
Come fa il povero analfabeta scientifico, a trovare la strada in mezzo a questo labirinto di dati solo apparentemente incontrovertibili, tenendo conto che intanto l’atmosfera si surriscalda?
Sarà poi vero che si surriscalda? Anche su questo non c’è accordo.
Torno a coltivare il mio orticello, sperando che non venga sommerso dall’ innalzamento del mare.
Il nucleare a fissione ha sollevato all’ inizio aspettative non confermate nel tempo. Addirittura Hubbert, l’ ideatore del picco del petrolio, proprio nel suo studio in cui “profetizzava” sulla produzione da fonti fossili intitolato appunto “Nuclear energy and the fossil fuels” prevedeva che in pochi decenni la fonte nucleare avrebbe surclassato tutte le fonti fossili per durare per millenni anche dopo il crollo di queste. Errore madornale dimenticato ovviamente dai suoi fan picchisti. La dura realtà è che dopo mezzo secolo di reattori a fissione globalmente non sono mai arrivati a produrre se non una limitata percentuale di energia, più di un ordine di grandezza inferiore a quella fornita dai fossili e ad oggi inferiore anche all’ idroelettrico.
Riguardo agli analfabeti scientifici l’ unica via è che si alfabetizzino con pazienza e senso critico ad esempio distinguendo tra “potenza nominale” e “potenza efficiente” perché considerare le potenze installate di eolico e fotovoltaico data la loro intermittenza è fuorviante
@Alberto
Ho il sospetto che dietro alle scelte energetiche si celino interessi enormi.
Si parla di investimenti imponenti, sia che si consideri il nucleare o le rinnovabili.
Questo non aiuta l’obiettività scientifica.
Ed allontana la soluzione dei problemi.
Lascerei da parte ogni sospetto: gli interessi economici in gioco sono certi ed imponenti. Non è razionale negarlo come non lo è considerarli in maniera complottistica. Of course imo.
Kerry alla COP22 cita il Papa e aggiunge:
In 2014, a study found that up to six million people in China have black lung because they lived and worked so close to coal-fired power plants. There are nearly 20 million new asthma cases a year in India linked to coal-related air pollution, and in the United States, asthma costs taxpayers more than $55 billion annually. The greatest cause of children being hospitalized in the summer in the United States is environmentally induced asthma. These are real costs, and they need to be added to the tally.
That’s the kind of accounting that we need to do today. Just think about the price of environmental and agricultural degradation.
We also have to include the price tag of rebuilding after devastating storms and flooding. Just in the first three quarters of this year alone, extreme weather events have cost the United States – have cost American taxpayers $27 billion in damage. In August alone, Louisiana experienced flooding that resulted in roughly $10 billion worth of damage.
So none of us can afford to be oblivious to these expenses, and these initial costs are in reality just a glimpse of what the future could hold in store for us if we fail to respond. Just imagine: Sea barriers that have to be built. Go down to Miami – in south Miami, they’re building – they’re raising streets to deal with flooding that’s already occurring, building new storm drains and assessing people additional tax in order to do it. Massive increases in cost of maintaining infrastructure to control flooding, withstand storms. Power outages. All of this and more has to be added to any honest assessment of high-carbon energy sources. And in an age of increasing transparency and public demand for accountability, citizens in the long run will not accept phony accounting or an obfuscation of the consequences of the decisions.
Examine closely what it is that has persuaded the Pope, presidents, and prime ministers all over the world, leaders around the world, to take on the responsibility of responding to this threat. Talk to the business leaders of Fortune 500 companies and smaller innovative companies, all of whom are eager to invest in the energy markets of the future. Get the best economists’ judgment on the risk of inaction, of what the cost would be to global economies, versus the opportunities that are to be found in the clean energy market of the future. Speak with the military leaders who view climate change as a global security concern, as a threat multiplier. Ask farmers about – and fisherman about the impact of dramatic changes in weather patterns on their current ability to make a living and to support their families or on what they see for the future. Listen to faith leaders talk about the moral responsibility that human beings have to act as stewards of the planet that we have to share, the only planet we have. Bring in the activists and civil society, groups who have worked for years with communities all over the world to raise awareness and to respond to this threat. Ask young people about their legitimate concerns for the planet that their children will inherit in reducing emissions worldwide.
And above all, consult with the scientists who have dedicated their entire lives to expanding our understanding of this challenge, and whose work will be in vain unless we sound the alarm loud enough for everyone to hear. No one has a right to make decisions that affect billions of people based on solely ideology or without proper input.
La dura realtà di un sistema economico-tecnologico mondiale fondato strutturalmente a livello energetico per 3/4 sull’ utilizzo delle riserve non ricostituibili di “sole fossile” e che impiegherà decenni per arrivare ad 1/2 non cambia minimamentei in base ai discorsi più o meno accorati di un multimilionario come Kerry, anche se non fosse come è alla fine dell’ amministrazione a stelle e strisce in cui ha militato.
Lanciata la “Marrakech Vision”
World’s poorest countries to aim for 100% green energy
http://www.bbc.com/news/science-environment-38028130
Testo completo
http://www.thecvf.org/wp-content/uploads/2016/11/CVF-Vision-For-Adoption.pdf
I sottoscrittori sono al potere nei propri paesi (@alberto)
Ed hanno appena contribuito alla pubblicazione di questo rapporto UNEP
http://www.thecvf.org/wp-content/uploads/low-carbon-monitor.pdf
PURSUING THE 1.5°C LIMIT – BENEFITS & OPPORTUNITIES
Adesso è il Corriere della Sera a dire benvenuta energia pulita:
http://www.corriere.it/extra-per-voi/2016/11/17/clima-rivincita-economica-dell-energia-pulita-ora-business-1367f2be-acd0-11e6-afa8-97993a4ef10f.shtml