Riscaldamento globale e migrazioni: quali relazioni?
Numerosi lavori mostrano le difficoltà nell’individuare e interpretare questo nesso; in questo post se ne mostrano alcune.
La nascita della coscienza ecologica negli anni ’70 indusse a coniare il termine di “rifugiato ambientale” e a indicare diverse cifre sulla numerosità delle loro fila, nell’ordine dei milioni già negli scritti di Jacobson (1988), Myers (1996) e Homer-Dixon (1994). Ma, come rilevò Black (2001), il problema è che dietro queste cifre a volte non vi è uno sforzo scientifico di dimostrare che le persone in oggetto abbiano migrato per motivi effettivamente connessi al riscaldamento globale. Ed è proprio questa la difficoltà di qualunque studio sulle sue conseguenze in rapporto alle migrazioni. In relazione ai rapporti tra riscaldamento globale, conflitti e migrazioni, difficoltà affini, nonché la necessità di approfondire la ricerca, sono state rilevate su questo blog, in un precedente post. Ancora oggi, data la sovraesposizione mediatica dei processi migratori verso l’Europa o gli USA, è fondamentale tornare con occhio critico sui metodi e le interpretazioni con cui gli scienziati li analizzano.
Negli ultimi anni, la letteratura su questo complesso tema, pur vasta e intricata, condivide alcuni aspetti comuni. Tra questi, la rinuncia al pregiudizio, tutto eurocentrico, che il cambiamento climatico spinga le persone ad entrare in Europa.
Gli oggetti di questi studi sono prevalentemente contesti africani (di diverso tipo, come il Sahel, il Corno d’Africa o gli altipiani dello Swaziland in Africa meridionale), del sud-est asiatico monsonico o delle isole pacifiche. Come afferma Jónsson (2008), occorre in primo luogo distinguere tra cambiamento climatico e variabilità del clima. Pur se è indubbio che i climatologi concordano sull’esistenza di un cambiamento climatico di radici antropiche, anche la naturale variabilità climatica gioca un ruolo rilevante, ed in entrambi i casi ci sono conseguenze per le persone. Ad esempio, alcuni studi (Tucker ed altri, 1991, e Willis ed altri, 2013) hanno mostrato, in base ad indagini satellitari e biologiche, quanto i confini del Sahara possano variare per cause non solo antropiche.
Peraltro, sono estremamente utili quei lavori, come quello di Timmermann e Friedrich (2016) e questo articolo dello Smithsonian, che mettono in luce come un certo rapporto tra clima, adattamento e migrazioni sia persistito nella storia del genere Homo. Rapporto in cui anche sapiens rientra a pieno titolo, “migrando pur non diventando una specie migrante” come affermano Calzolaio e Pievani in Libertà di migrare: perché ci spostiamo da sempre ed è bene così (2016), già recensito su questo blog. Fuori da una visione strettamente emergenziale delle migrazioni, è possibile allora studiare come i contesti storicamente e geograficamente più ampi in cui gli uomini si formano possano influenzare (fino a costringere) le loro scelte.
Su questa scia, anziché rilevare focolai di emigrazione rivolta a paesi dal clima più mite, gli studi che prendo in esame si trovano a confrontarsi con le molteplici strategie adottate da chi sperimenta squilibri come condizioni sempre peggiori di coltivazione e maggiori rischi di siccità, inondazioni, salinizzazione del suolo e tempeste. È improbabile che queste persone, con il declino dell’economia famigliare, possano finanziare un costoso viaggio intercontinentale, mentre è piuttosto frequente che allontanino i membri della famiglia che possono trovare sistemazione in contesti più benestanti (come parenti e/o scuole situati in zone più resilienti al rischio o, nel caso del Pacifico, altre isole). È inoltre probabile che i membri abili al lavoro si trasferiscano in città o regioni meno dipendenti dal settore primario a cercare un lavoro salariato, salvo poter a casa tornare nel periodo del raccolto. È quanto osservato da Findley (1994) nell’articolo Does drought increase migration? (La siccità accresce le migrazioni?), in cui si mette in luce come, durante la siccità degli anni ’83-’85 in Mali, i tassi di emigrazione di alcuni villaggi della Valle del Fiume Senegal siano aumentati di poco, ma con significativo aumento di spostamento di bambini e donne e diminuzione di quelli di maschi adulti.
Figura 1: Composizione per età degli emigrati dalla Valle del Fiume Senegal, da Findley, 1994
In proposito, è fondamentale specificare che le statistiche sulle motivazioni della migrazione adoperate da Findley (e anche da Ezra e Kiros, 2001, e Vutha ed altri, 2016) derivano da questionari compilati dai “capifamiglia” della famiglia del migrante. I risultati, dunque, recano i segni del patriarcato: spicca l’assenza di donne indicate come migranti economiche, forse in ossequio al mito del marito che si sobbarca della totalità del sostentamento famigliare.
Figura 2: Motivazioni dell’emigrazione dalla Valle del Fiume Senegal, da Findley, 1994
Quando si tratta di indicare i motivi determinanti delle migrazioni con questionari, d’altronde, nessuno si riconosce come “migrante ambientale”. Ezra e Kiros (2001), nel diverso contesto dell’Africa orientale e specificamente nelle regioni dell’Etiopia settentrionale colpite dalla carestia nel 1984, rilevano che facilmente l’indicazione ricadrà su voci che fanno perno sulle ideologie famigliari dominanti, come “matrimonio” o “assistenza degli anziani”.
Cattaneo e Massetti (2015), invece, combinando i dati sull’emigrazione attuale forniti da indagini demografiche nazionali (il Ghana living standard survey del 2005-6, consultabile qui e il Nigeria general household survey del 2010-11, consultabile qui) e le proiezioni dell’IPCC sulle future concentrazioni di gas serra, sostengono che nel Ghana e nella Nigeria settentrionali, regioni rurali, il peggioramento climatico comporterà una diminuzione della propensione a migrare, forse proprio a causa della mancanza del capitale iniziale, in contesti in cui è già difficile accedere a tecnologie agricole come impianti idrici e macchine per l’aratura.
Nella sua tesi di master in climatologia, Perch-Nielsen (2004) chiarisce come, mentre la climatologia procede per indagini di natura fisico-deterministica, le teorie della migrazione non solo siano multi-paradigmatiche, ma non possano neanche ridurre del tutto l’iniziativa umana a un meccanismo.
Figura 3: Differenze tra modelli climatici e migratori secondo Perch-Nielsen, 2004
De Bruijn (2000) studiò la situazione dei gruppi di pastori nomadi Tuareg e Fulbe emigrati nel plateau di Bandiagara (Mali centrale) all’inizio del XX secolo, e a più riprese in seguito alle carestie. L’inaridirsi del suolo si accompagnava in questo caso a svariate questioni culturali, tra cui la concezione e la cura della povertà secondo le ideologie locali, la ripartizione dei ruoli economici secondo i generi, la mancanza di diritti sulla terra secondo la legge sulla proprietà nazionale, le relazioni di convivenza con gli altri gruppi etnici. Questi fattori inseriscono le migrazioni in una lunga storia di mobilità che, da più di un secolo, caratterizza le strategie di sopravvivenza di questi gruppi in ambienti aridi.
È irrinunciabile sottolineare come l’emigrazione non sia l’unico adattamento possibile a queste situazioni. I Borana, un gruppo Oromo dell’Etiopia del sud, si trovano ad affrontare siccità sempre più prolungate che hanno colpito il loro allevamento. Migrare verso zone più miti sarebbe, tra l’altro, rischioso, a causa di tensioni militari menzionate nel documentario “Voci d’acqua dall’Etiopia” di Barberi (2011). Pertanto, mentre la vendita progressiva del bestiame introduce tra loro l’economia di mercato, essi ricorrono agli antichi “pozzi cantanti”, cercando di sfruttare l’istruzione per facilitare l’estrazione d’acqua e le loro condizioni di vita sul luogo (nella foto a fianco, l’esempio di un pozzo borana; sono pozzi detti “cantanti” dalle cantilene che alleggeriscono il turno degli operai).
Parallele alle forme di resistenza “indigena”, vi sono molte esperienze di progetti di cooperazione internazionale per l’adattamento al cambiamento climatico, parimenti meritevoli di studio per via dell’assistenza materiale che forniscono, degli strumenti concettuali con cui operano e delle relazioni di potere in cui si inseriscono. Rimandando alla piattaforma collaborativa del portale “We Adapt” per una rassegna dei progetti di adattamento, due esempi sono i progetti di COSPE e GVC. La prima (Sanfilippo, COSPE 2015) in Swaziland, regno dell’Africa meridionale, secondo la metodologia Climate Vulnerability and Capacity Analysis del centro CARE (min. 37) e invitando le assemblee dei diversi villaggi a individuare i maggiori fattori di rischio per la comunità e le possibili soluzioni; la seconda (https://www.youtube.com/watch?v=J70R7ovRKG0, min. 44) ha condotto indagini (Vutha ed altri, 2016) sulle regioni cambogiane al confine thailandese, a partire dalla comprensione dei rapporti tra inondazioni, siccità, raccolti ed emigrazione verso la Thailandia e al fine di combattere i pericoli che le migrazioni irregolari comportano.
In bilico tra ricerca e mitologia, solidarietà e sfruttamento, difficoltà operative e superficialità, la materia richiede studi di tipo qualitativo e interdisciplinare, che a una conoscenza critica della climatologia affianchino lunghi periodi di convivenza coi migranti e le loro problematiche. Chissà che ciò non porti a fertili cambi di prospettiva.
Testo di Massimo Camnasio. La tesi “Global warming and migration. Is migration an adaptive response to climate change? Some African, south-Asian, Pacific and palaeoanthropological studies trying to answer” scritta dall’autore nell’ambito dei corsi del Collegio Superiore dell’Università di Bologna – Alma Mater Studiorum, è disponibile qui.
Foto inziale: Campo profughi di Dadaab, Kenya. Ospita 370’000 persone, tra cui molti somali in fuga dalla siccità che ha colpito il Corno d’Africa. Foto scattata nel 2011 da Roberto Schmidt/AFP/Getty Images
Bibliografia
Barberi, Paolo & Russo, Riccardo The well, Voci d’acqua dall’Etiopia Esplorare la metropoli, Italia, 2011
Black, Richard Environmental refugees: myth or reality? New Issues in Refugee Research, UNCHR Working Paper n° 34,2001
Bocchiola, Daniele Cambiamento climatico e conflitti globali: c’è un nesso causale? Climalteranti.it, 13/02/2015
Caldwell, John C. Routes to low mortality in poor countries Population and Development Review, vol. 12, n°2, 1986
Caserini, Stefano I cambiamenti del clima e le migrazioni Climalteranti.it, 29/08/2016
Cattaneo, Cristina & Massetti, Emanuele Migration and climate change in rural Africa Fondazione ENI Enrico Mattei, n° 29 2015
de Brujn, Mirjam Poverty and mobility in arid lands: the case of Sahelian pastoralists, Van Gorcum , Assen, 2000
Ezra, Markos & Kiros, Gebre-Egziabher Rural out-migration in the Drought Prone Areas of Ethiopia: A Multilevel Analysis, The International Migration Review, Vol. 35, n° 3, 2001
Farbotko, Carol & Lazrus, Heather The first climate refugees? Contesting global narratives of climate change in Tuvalu Elsevier, 2011
Findley, Sally Does drought increase migration? A study of migration from rural Mali during the 1983-1985 droughts International migration review, 1994
Homer-Dixon, Thomas Environmental scarcities and violent conflict: evidence from cases International Security 19 (1): 5-40, 1994
Jacobson, Jodi Environmental Refugees: a Yardstick of Habitability World Watch Paper, n° 86, Washington, DC: World Watch Institute, 1988
Jónsson, Gunvor The environmental factors in migration dynamics- a review of African case studies Working Papers, 21, International Migration Institute, University of Oxford, 2008
Mangiameli, Gaetano Le abitudini dell’acqua Biblioteca di studi antropologici ed etnografici, 2010
Myers, Norman Environmentally-induced displacements: the state of the art in Environmentally-Induced Population Displacements and Environmental Impacts Resulting from Mass Migration, International Symposium, 21-24 April 1996, Geneva: International Organisation for Migration with United Nations High Commissioner for Refugees and Refugee Policy Group, 72-73, 1996
Perch-Nielsen, Sabine L., Understanding the effect of climate change on human migration: the contribution of mathematical and conceptual models, ETHzürich Research Collection, 2004
Perch-Nielsen, Sabine L. & Bättig, Michèle B. & Imboden, Dieter Exploring the link between climate change and migration Climatic Change, 2008
Raleigh, Clionadh & Jordan, Lisa & Salehyan, Idean Assessing the impact of climate change on migration and conflict Social Development, The World Bank
Sanfilippo, Massimiliano Report participatory adaptation, phase 2 COSPE, 2015
Smithsonian, National Museum of Natural History Climate effects on human evolution, page last updated: 30 March, 2016
Suhrke, Astri Pressure points: environmental degradation, migration and conflict Cambridge, American academy of art and science, 1993
Timmermann, Axel & Friederich, Tobias Late Pleistocene climate drivers of early human migration Nature, vol. 538, 6 October 2016
Tucker, C.J. & Dregne, H.E. & Newcomb, W.W. Expansion and contraction of the Sahara desert from 1980 to 1990 Science, 253:299-301, 1991
Vutha H. Hing, Bopharath B. Sry and Roth V., Chiaregato M., Pirani S., Romanelli M., Migration and remittances: mapping the sending channels and the management of remittances in Cambodia, the case of three provinces in the frame of the project MIGRA-SAFE: Safe Labour Migration for Vulnerable Cambodian Migrant Workers cofounded by the European Commission, Phnom Phen 2016
White, Gregory Climate change and migration: Security and borders in a warming world, Oxford University press 2011
Willis K. J. & Bennet K. D. & Burrough S. L. & Macias-Fauria M. & Tovar C. Determining the response of African biota to climate change: using the past to model the future Philosophical Transactions: Biological Sciences, Vol. 368, n° 1625, 2013
18 responses so far
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@massimo camnasio
Complimenti per l’interessantissima tesina, veramente ben scritta.
Complimenti anche ai gestori del sito per averla ospitata qui, una voce fuori dal coro per queste pagine ed il modo con il quale vengono di solito trattati questo argomenti.
E’ netta la differenza con pubblicazioni di climatologi professionisti, non uno studente, come quella discussa a suo tempo qui…
https://www.climalteranti.it/2017/09/20/effetto-serra-effetto-guerra/
… dove si riportava di migrazioni bibliche a causa della diminuzione di superficie del lago Chad (cosa peraltro non vera), e la si attribuiva al global warming antropico.
Complimenti ancora, Massimo.
R.
concordo, post interessante; vale sempre la pena di ricordare che le migrazioni che raggiungono noi in Italia e Europa sono solo una piccola parte delle migrazioni mondiali
Ottimo articolo, come sempre, ottima bibliografia…
Aggiungo solo che la UNCCD ha affrontato direttamente le relazioni tra i questioni di sicurezza, fenomeni migratori e condizioni ambientali, affrontate sia nel testo del Global Land Outlook presentato lo scorso settembre, sia in due Working Paper
Grammenos Mastrojeni, Peace, Security, Land and Sustainable Development.
Robert McLeman, Migration and Land degradation: Recent experience and future trends
(https://global-land-outlook.squarespace.com/working-papers-1/#working-papers).
Una decisione dell’ultima COP (Decision 28/COP.13: The positive role that measures taken under the Convention can play to address desertification/land degradation and drought as one of the drivers that causes migration) ha esplicitamente riconosciuto che desertificazione e degrado di territorio e suolo agiscono come fattori trainanti di scelte migratorie.
@ Jerry
per favore, potrebbe evitare di mettere commenti relativi a cosa scrivono su altri blog su argomenti che non centrano con questo post? grazie.
In realtà c’ entra, si parlava di un argomento connesso alle migrazioni causate dai cambiamenti climatici.
Secondo questa gente, grazie alla Co2, c’è un vero boom di derrate alimentari e dell’ agricoltura, quando questo boom nei paesi in via di sviluppo è chiaramente dovuto alla tecnologia e ai fertilizzanti.
Mi sembra d’obbligo combattere la disinformazione a riguardo.
@ Jerry
Sappiamo che su tanti blog girano cose imbarazzanti; però preferiamo non dare altre visibiltà a questi siti, e non abbiamo tempo per rispondere a tutti…
Ecco uno studio sull’ espansione del Sahara, l’ esatto contrario di quel che dicono in quel sito di cui parlavo che le foreste stanno inghiottendo il deserto.
https://www.sciencedaily.com/releases/2018/03/180329141035.htm
L’ espansione dei deserti credo che sia assolutamente correlata alle migrazioni (senza acqua non c’è vita) quindi questa me la consentite perchè è in tema.
@jerry
Certo, come no…
“Finally, this observational analysis is used to evaluate the state-of-the-art climate simulations from a comparison of the twentieth-century hydroclimate trends. The evaluation shows that modeling regional hydroclimate change over the African continent remains challenging, warranting caution in the development of adaptation and mitigation strategies.”
Modellini farlocchi, come al solito.
Quanto al rinverdimento del pianeta grazie alla CO2…
http://www.nature.com/nclimate/journal/vaop/ncurrent/full/nclimate3004.html
“Greening of the Earth and its drivers”, Nature Climate Change volume 6, pages 791–795 (2016)
Abstract
Global environmental change is rapidly altering the dynamics of terrestrial vegetation, with consequences for the functioning of the Earth system and provision of ecosystem services1,2. Yet how global vegetation is responding to the changing environment is not well established.
Here we use three long-term satellite leaf area index (LAI) records and ten global ecosystem models to investigate four key drivers of LAI trends during 1982–2009.
We show a persistent and widespread increase of growing season integrated LAI (greening) over 25% to 50% of the global vegetated area, whereas less than 4% of the globe shows decreasing LAI (browning).
Factorial simulations with multiple global ecosystem models suggest that CO2 fertilization effects explain 70% of the observed greening trend, followed by nitrogen deposition (9%), climate change (8%) and land cover change (LCC) (4%).”
robertok06
come sempre in topic, eh?
Anyhow: “observational analysis” (che il Sahara si sia espanso) si spiega da sé. Tutti tranne te capiscono che si tratta di un’analisi basata su osservazioni. D’altra parte, sono contento che finalmente hai capito anche te che non esistono osservazioni pure che non siano frutto di elaborazione da parte di modelli, come ti segnalavo già un paio di anni fa, per es. in questo interessantissimo e utilissimo tomo.
@Steph
“Tutti tranne te capiscono che si tratta di un’analisi basata su osservazioni.”
????
Scusa??? Tutti tranne Jerry, casomai.
Che quelle della NASA siano osservazioni l’ho capito da un pezzo… sono io che li ho citati.
Mah…
P.S.: Lo so che ti manco “da te”, grazie di averlo confermato con questo tuo messaggio. Scrivi qualcosa di interessante e torno, non preoccuparti. Ferie lunghe le tue, beato te.
robertok06
Ok, ma allora perché tiri in ballo i modellini farlocchi? Sei tu che li tiri in ballo, non Jerry. Problemi di identità?
“sono io che li ho citati.”
Ho capito. Tu sei Jerry sotto mentite spoglie, o il contrario. Buona continuazione del divertissement.
PS: grazie, scrivo poco non solo per via delle ferie, ma – come ti ho già detto – perché a differenza di te che sei sui blog 24/24 7/7, ho un sacco di altre cose da fare e il blog è solo una di queste, non la principale.
@steph
“Ok, ma allora perché tiri in ballo i modellini farlocchi? Sei tu che li tiri in ballo, non Jerry. Problemi di identità?”
I miei problemi d’identità sono nulla rispetto alla tua partigianeria e faziosità.
Dici che questo articolo, che stiamo commentando, non parla anche di modelli?
Figurati.3… didascalia… l’ho scritta io?
Perché mi fai perdere tempo, Steph?
@Steph
“perché a differenza di te che sei sui blog 24/24 7/7,”
Eh!… certo… lavori solo tu… miniera di carbone in Cina con pala e piccone, giusto?… io invece che ho fatto il primo libretto di lavoro nel 1974, all’età minima in cui si poteva fare, mi gratto gli zebedei 24h/24.
Hai sempre dei grandi argomenti con i quali replicare quando sei alle strette ed a corto di buone risposte, vero Stefano?
@robertok06
Mi dispiace ma le tue disinformazioni mostrano solo quanto poco ne conosci in materia.
Tutti gli studi riportati di cui ho anche linkato mostrano un’ espansione del Sahara del 10%, quindi postare disinformazione non ti serve a nulla.
Ti può servire là , dove non esiste cultura climatica e credono a tutte le tue panzane, qui in CM ove ci sono professionisti come il sottoscritto e altri, non ti serve.
Credo che li sogni anche di notte i “modellini farlocchi”,davvero la tua ossessione non riesci a tenerla fuori da nessuna discussione.
@robertok06
Traduzione tutta completamente sbagliata. Se non sai spiccicare una parola d’ inglese , lascia questo lavoro a chi lo sa fare. Modelli farlocchi è una tua ossessione e una tua diffamazione verso la scienza.
Sul blog dal quale ti sguinzagliano hanno pubblicato notizie FALSE su una riduzione del Sahara e il suo “inghiottimento” dalla foresta pluviale. Notizie prontamente smentite.
Che il merito sia della tecnologia è risaputo, una molto maggiore resa delle coltivazioni e l’ uso di antiparassitari e degli OGM, specie in paesi in via di sviluppo.
Probabilmente sei l’ unica persona che non lo sa, “scienziato” della chiacchiera.
Modelli farlocchi è una tua chiara ossessione che pubblichi OT a iosa in qualsiasi discussione anche se non c’entra nulla.
Avere un margine di errore ed essere farlocchi sono due cose completamente diverse.
Ma tu non sai nemmeno cosa sia il margine di errore, quindi inutile stare a discutere con un non addetto ai lavori che si spaccia ridicolamente per scienziato.